Venerdì 19 aprile 2024, ore 13:00

Intervista

La stagione più difficile per il lavoro

Clima infuocato per le vertenze e lunghe giornate di protesta sul fronte del lavoro. Nonostante il settore metalmeccanico abbia continuato a lavorare, anche nel periodo acuto della pandemia, (grazie tra l’al tro ai protocolli sulla sicurezza), e ora viaggi su fatturati a due cifre, restano sul tavolo del ministero dello Sviluppo economico oltre 80 tavoli di crisi 'storiche' mai risolte, a partire dalla Whirlpool i cui lavoratori ieri hanno manifestato a Roma. Con lo sblocco dei licenziamenti, in queste settimane, alcune aziende della componentistica auto hanno deciso di chiudere i loro siti in Italia, decisioni che sembrano annunciare per il comparto dell’auto, in piena trasformazione per effetto del 'Fit for 55', anni di tempesta. Ne parliamo a Conquiste con il segretario generale Fim Cisl, Roberto Benaglia.

Segretario, quali sono le motivazioni che hanno condotto Fim, Fiom, Uilm a proclamare una mobilitazione con assemblee e due ore di sciopero da tenersi entro il mese di luglio?

Il ministero dello Sviluppo Economico non è riuscito ancora a realizzare nessuna politica di reindustrializzazione per le vertenze storiche aperte da anni. In questi giorni, come se non bastasse, si vanno aggiungendo ulteriori casi molto gravi nei quali vengono annunciate chiusure definitive (Giannetti Ruote, la Gkn Driveline e ultima in ordine di tempo la fabbrica di cuscinetti Timken di Brescia).

Questo sta accadendo per via dello sblocco dei licenziamenti?

In questi casi lo sblocco dei licenziamenti c’entra fino ad un certo punto. Sono tutte aziende della componentistica auto, alcune anche di proprietà di fondi finanziari e come sappiamo, il settore dell’automotive è in piena trasformazione e ristrutturazione, epicentro della transizione ecologica e digitale.

Dobbiamo aspettarci altre situazioni analoghe quindi?

L’automotive, è bene ricordarlo, era un settore già entrato in crisi prima della pandemia sotto i colpi del diesel gate e un calo delle immatricolazioni pesante. Ancora oggi si assesta già rispetto alla pre-pandemia che lo vedeva in crisi al -25% delle immatricolazioni. Serve intervenire subito prima che sia troppo tardi con politiche di sostegno mirate. Il settore auto produce oltre 11% del Pil nazionale. Il governo non può essere distratto, servono risorse e politiche di settore straordinarie se vogliamo evitare che il pacchetto 'Fit for 55' si traduca per l’Italia in uno tsunami economico, industriale e soprattutto sociale. Stiamo parlando di un settore che impiega 278mila addetti alla produzione (il totale del comparto sale a 1,25 milioni se si sommano anche i servizi).

Dunque un settore strategico per l’econo mia e l’industria del Paese, ma c’è anche il tema dei cambiamenti climatici cosa proponete?

Bisogna affrontare questa transizione come dice anche il ministro Cingolani senza lasciare indietro nessuno. E’ necessario che per ogni euro che si investe nella transizione ecologica, almeno uno deve essere reinvestito in politiche di sostegno e formazione per chi rischia di perdere il lavoro a causa della transizione.

Quali interventi vi aspettate dal Governo, ma anche dalla Confindustria, per evitare che multinazionali e aziende che usufruiscono delle agevolazioni, lascino l’Italia?

Occorre in primo luogo un intervento di ampio spettro che inserisca nella discussione in atto nella riforma degli ammortizzatori, causali nuove, legate ai cambiamenti che stanno avvenendo nel mondo del lavoro a causa della transizione ecologica ma anche digitale. Perché nel corso dei prossimi anni assisteremo sempre più alle ristrutturazioni di intere filiere industriali su cui oggi bisogna mettere in campo politiche e ammortizzatori a sostegno delle persone. Nell’immediato, come abbiamo chiesto insieme alla Cisl, serve subito un tavolo di monitoraggio come previsto dall’avviso comune 'sblocca licenziamenti'. Bisogna evitare lo sciacallaggio sociale da parte delle aziende rispetto allo sblocco dei licenziamenti. E soprattutto, come accade in tutta Europa bisogna rendere i licenziamenti costosi.

In che senso più costosi?

Ci deve essere un meccanismo per cui le aziende, le multinazionali e i fondi quando intendono licenziare, devono sedersi ad un tavolo con governo e sindacati e predisporre piani sociali che mettano in sicurezza lavoro e occupazione. Non è accettabile che venga comunicato con una mail il licenziamento di decine di persone e la chiusura di un sito industriale a costo zero, spesso con la scusa di delocalizzare in un altro stato dell’UE. Su questo ci aspettiamo un impegno concreto del governo perché appunto carichi parte dei costi dei piani sociali sulle imprese che lasciano il nostro territorio.

Cecilia Augella

( 22 luglio 2021 )

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