Giovedì 18 aprile 2024, ore 8:59

Contratti pubblici

Appalti, i sindacati chiedono lo stop agli affidamenti diretti

all'interno del Consiglio dei Ministri che comprenda le parti sindacali e datoriali; riforma e riduzione delle stazioni appaltanti; evitare il più possibile l'affidamento diretto. Sono le principali osservazioni al disegno di legge Delega in materia di contratti pubblici presentate da Cgil, Cisl e Uil in audizione in Commissione Lavori Pubblici.
”Bisogna iniziare da una concreta riforma delle stazioni appaltanti, vanno drasticamente ridotte nel numero e dotate di personale tecnico-amministrativo adeguato”, afferma Giuseppe Massafra, segretario confederale della Cgil, che ha riproposto l’idea di una cabina di regia presso il Cdm per un'azione di governance del sistema del codice degli appalti, prevedendo all'interno coloro che vivono i luoghi di lavoro, ossia parti sindacali e datoriali. Altre proposte riguardano estensione e rafforzamento di meccanismi di premialità, piena attuazione della banca dati
nazionale dei contratti pubblici, puntare su offerta economicamente più vantaggiosa e non massimo ribasso. 
Poi la questione degli affidamenti diretti: ”Siamo fortemente contrari, espongono gli operatori della Pubblica amministrazione in alcune aree del Paese a pressioni inaudite. Vorremmo che si bandisse di più e si affidasse di meno”, dichiara Andrea Cuccello, segretario confederale della Cisl. Si tratta, aggiunge Cuccello, di ”un sottobosco che può dare adito a fenomeni distorsivi del mercato. Non dobbiamo lasciare da sola la Pa. Con l'affidamento diretto si possono creare condizioni molto particolari”. La Cisl, inoltre, ha criticato la pratica degli affidamenti diretti sotto i 40mila euro senza consultazioni di almeno tre operatori. ”Obbligatorio fare un confronto”, ha concluso Cuccello.
Per Tiziana Bocchi, segretaria confederale della Uil, ”la semplificazione deve tenere fermi questi principi: legalità e trasparenza, tutela occupazionale, qualità del lavoro e delle opere”. 
Intanto la Corte costituzionale ha dichiarato l'incostituzionalità dell'articolo 177 del Codice dei contratti pubblici. 
La previsione dell'obbligo, a carico dei titolari di concessioni affidate direttamente, di esternalizzare tutta l'attività oggetto della concessione - mediante appalto a terzi dell'80% dei contratti inerenti la concessione stessa e assegnazione del restante 20% a società in house o comunque controllate o collegate - costituisce ”una misura irragionevole e sproporzionata rispetto al pur legittimo fine" di garantire l'apertura al mercato e alla concorrenza”.Il perseguimento di questa finalità incontra pur sempre il limite della ragionevolezza e della necessaria considerazione degli interessi dei soggetti coinvolti, a loro volta protetti dalla garanzia dell'articolo 41 della Costituzione.
La pronuncia ribadisce che il legislatore può intervenire a limitare la libertà d'impresa in funzione della tutela della concorrenza, nello specifico ponendo rimedio, attraverso gli obblighi di esternalizzazione, al vulnus derivante da passati affidamenti diretti, avvenuti al di fuori delle regole del mercato. Tuttavia, la libertà d'impresa non può subire, nemmeno in ragione del doveroso obiettivo di piena realizzazione dei principi della concorrenza, interventi che ne determinino un radicale svuotamento, come avverrebbe sacrificando completamente la facoltà dell'imprenditore di compiere le scelte organizzative tipiche della stessa attività imprenditoriale.
La Corte ha ritenuto che il legislatore, stabilendo un obbligo
particolarmente incisivo e ampio, ha omesso di considerare non solo l'interesse dei concessionari ma anche quelli dei concedenti, degli eventuali utenti del servizio e del personale occupato nell'impresa. Interessi, tutti, che per quanto comprimibili nel bilanciamento con altri ritenuti meritevoli di protezione da parte del legislatore, non possono essere tuttavia completamente ignorati.
Giampiero Guadagni

( 26 novembre 2021 )

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