Giovedì 25 aprile 2024, ore 21:02

11 settembre

Cosa è cambiato in venti anni

Sono passati venti anni da quel martedì 11 settembre 2001 che ha cambiato tutto. Da allora si è detto e scritto tanto sui quattro attacchi suicidi che colpirono il cuore dell’America alterando per sempre le nostre vite e gli equilibri politici mondiali.

Dopo quell’offensiva terroristica senza precedenti, che causò 2977 vittime, oltre alla morte dei 19 dirottatori dei quattro aerei di linea appartenenti all’organizzazione al Qaida guidata all’epoca da Bin Laden e il ferimento di oltre 6000 persone, nessun paese al mondo si è più sentito al sicuro. E oggi, rivedere le immagini dei due aerei che si schiantarono contro le Torri Nord e Sud del World Trade Center di New York, provoca ancora un senso d’angoscia, d’inquietudine. Ripensare a quei momenti, a quell’ora e 42 minuti in cui entrambe le Torri Gemelle crollarono, agli incendi, ai detriti, e poi al volo che si abbatté sul Pentagono e al quarto aereo destinato a cadere su Washington e solo grazie all’estremo ed eroico tentativo dei passeggeri di evitare il peggio precipitò in un bosco di Shanksville, in Pennsylvania, è come rivedere un film inquietante. E in questo ventennio sull’argomento ne abbiamo visti diversi, dal premiato “Fahrenheit 9/11” di Micheal Moore, Palma doro al Festival di Cannes nel 2004, ai documentari “The Power of Nightmares” di Alan Curtis e “Taxi to the Dark Side” di Alex Gibney fino al mockumentary (un falso documentario) “Death of a President” di Gabriel Range, provando simultaneamente sensazioni di dolore e sconcerto accompagnate oggi da un grande punto interrogativo. Così, dopo il recente abbandono dell’Afghanistan da parte degli Usa e il ritorno al governo dei talebani, torna la minaccia terroristica? E in che modo? È stato un ventennio “inutile”? Certo, la guerra in Afghanistan è costata tanto agli Stati Uniti anche in termini economici: dall’invasione del 7 ottobre del 2001 a oggi sono stati spesi ben 2.313 miliardi di dollari, di cui “solo” 815,7 per le fasi operative. Tra armi, morti, addestramenti, costruzione di strade, scuole e infrastrutture e quanto altro comporta un’operazione del genere.

“In questo periodo – afferma lo storico Massimo Teodori, autore di numerosi saggi sugli Stati Uniti – sulla scena internazionale è cambiato tanto. Fino all’11 settembre 2001 l’America affermava la sua funzione di leadership sul sistema mondiale, ritenendo di essere rimasta l’unica potenza internazionale dopo la fine del comunismo e di essere in grado di tutelare agevolmente la propria sicurezza e quella degli alleati. Quel giorno invece è emerso un nuovo protagonista, un nemico talvolta invisibile, il terrorismo islamista. Sul piano interno, fin quando c’è stato lo scontro con l’Unione Sovietica e il comunismo mondiale, l’obiettivo principale era quello di difendersi dai possibili attacchi nucleari provenienti da Mosca. Poi con il crollo del muro di Berlino il pericolo è diventato l’integralismo islamico. Una minaccia che arriva sia dall’esterno che dall’interno tanto che è vero che Trump, dopo le campagne di Bush in Iraq e Afghanistan, preparò un decreto per bloccare l’immigra zione da sei paesi islamici. E adesso – spiega ancora Teodori – il nuovo sentimento nazionale è rappresentato dalla paura di questo insidioso nemico.

Certo, gli Usa sono ormai al capitolo finale del loro intervento per garantire stabilità a molti scacchieri internazionali. In particolare, il ritiro è previsto da quelli mediorientali. Basti pensare alla Siria, con l’abbandono dei curdi, e poi proprio all’Afgha nistan. Restano così solo alcuni paesi arabi amici. Anche perché la loro concentrazione ora è rivolta all’Oceano Pacifico. Si guarda soprattutto alla Cina.

Ciò, però, non significa che tutti i servizi di intelligence non siano orientati più sull’attività terroristica. Dal canto nostro, c’è da dire che nonostante le dichiarazioni di Biden sulla scena multilaterale, credo che l’Europa si debba risvegliare sul fronte della difesa. Sotto ogni aspetto. Il vecchio Continente ha vissuto per circa 50 anni sull’impegno statunitense, pagato dal contribuente americano, ma ora deve cominciare a pensare che quest’ul timo non sarà più fornito dagli Usa e provvedere autonomamente come entità collettiva”.

Aprendo una nuova fase storica dopo un conflitto lungo e difficile. Che, forse, è tuttora in corso visto che, dopo la morte di Bin Laden, avvenuta dieci anni fa, non è venuto meno il vero scopo della sua organizzazione, cioè quello di rovesciare i poteri esistenti nel maggior numero di paesi arabo-islamici con l’instau razione al loro posto di regimi a carattere teocratico destinati a unificarsi in un unico, vero e proprio califfato.

È chiaro che il terrorismo adottato da una minoranza fondamentalista e jihadista, combattuto con buoni risultati dall’Occi dente, era solo uno strumento e l’attacco al “Grande Satana” americano e ai suoi alleati doveva servire anzitutto a provocare una forte reazione nell’universo musulmano e ad approfittare di fenomeni non da essi direttamente provocati.

Ma il problema ora è di capire la direzione nella quale andranno concentrati gli sforzi. E non basta solo la condanna al terrorismo: occorre risolvere le questioni che stanno a cuore al mondo islamico. A partire, ad esempio, dal conflitto arabo-israeliano, dall’ormai cronica questione palestinese.

Dopo venti anni il mondo è di fronte a un passaggio difficile che però può essere anche utilizzato come un’opportunità: dipenderà dalla comunità internazionale, e questa volta in modo particolare dall’Europa se, anche sulla base dell’esperienza di questi venti anni, sapremo approfittare di questo periodo. Ormai non si tratta più soltanto di contrastare e sconfiggere l’azione jihadista, l’Isis e le altre organizzazioni del terrore.

Ma bisogna convincere le maggioranze delle opinioni pubbliche arabo-islamiche delle conseguenze nefaste che arrivano dalla minaccia fondamentalista.

Diventa decisiva a questo proposito la capacità di organizzare un’iniziativa politica e diplomatica rispetto all’uso della forza, a cui purtroppo, in certi casi, non è possibile rinunciare.

Affinché, però, tale punto di svolta possa realizzarsi, occorre individuare il contesto che possa rendere possibile ciò con l’avvio di un confronto politico-diplomatico formale, che coinvolga contemporaneamente tutti gli attori interessati e che permetta di porre sul tappeto tutti i nodi irrisolti.

Pensando, magari, a quanto sosteneva tempo fa l’ex ministro degli Esteri Gianni De Michelis. “Necessita andare oltre la road map – sosteneva – e affrontare contemporaneamente, in una conferenza internazionale, sul modello di quella di Helsinki degli anni Settanta, le questioni degli assetti statuali, della sicurezza, della cooperazione economica, dei diritti umani e della democrazia nell’in tera regione che possiamo definire grande Medio Oriente o Mediterraneo allargato. Una iniziativa di tal genere consentirebbe di andare oltre gli approcci unilaterali che si sono dimostrati inefficaci, o addirittura controproducenti, e di rimettere assieme i pezzi di quello che può essere considerato un vero e proprio puzzle e, soprattutto, consentirebbe un confronto su un piano di piena parità con gli attori di parte arabo-islamica, in questi anni totalmente messi a margine dall’azione soprattutto dagli Stati Uniti”.

Venti anni dopo anni l’11 settembre, in una situazione delicata in cui i talebani hanno riconquistato Kabul, il cammino è ancora in salita. Considerando anche che quel giorno ad essere colpite non sono state soltanto la sicurezza e la mobilità delle persone, ma anche l’economia e la globalizzazione da tempo alle prese con la rivoluzione digitale.

Sta ora alla capacità dell’Occidente e della comunità internazionale di contrattaccare con una forte iniziativa politico-diplomatica. Questo sarebbe il modo migliore non solo di ricordare le migliaia di donne e di uomini che in questi due decenni sono caduti, a partire proprio dalle vittime dell’attacco alle Twin Towers, ma dimostrerebbe soprattutto che esse non sono cadute invano in quanto il loro sacrificio ha aiutato a comprendere il modo corretto con il quale sconfiggere i nuovi pericoli.

Fabio Ranucci

( 11 settembre 2021 )

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