“La Gazzetta del Mezzogiorno” non è un quotidiano con 130 anni di vita, bensì un’istituzione territoriale ben più allargata delle due regioni di riferimento, la Puglia e la Lucania. Lo dimostrò all’inizio degli anni ’90, quando ne uscì l’edizione albanese, determinante nel costruire un ponte comunicativo transadriatico, indispensabile per evitare la completa catastrofe del disfacimento jugoslavo, seguito anche questo alla caduta del Muro.
Sulle sue pagine hanno scritto luminari del giornalismo nazionale, tra cui Giuseppe Giacovazzo, che ne fu anche direttore, e figure della scena culturale del calibro di Raffaele Nigro, Luciano Luisi, Franco Cardini, Michele Mirabella, Andrea Di Consoli.
Le redazioni provinciali creavano un bacino di utenza nient’affatto limitato alle cronache locali. Gli eventi “del posto” si connettevano a quelli nazionali ed internazionali con l’ampia sezione del giornale dedicata all’informazione su ampia scala. In più, negli editoriali, sulla “Gazzetta del Mezzogiorno”, ricorreva un’attenzione per nulla campanilista verso le problematiche di tutto il sud e più in generale dell’area mediterranea.
Adesso, la sospensione dell’uscita in edicola, che tutti auspicano sia solo temporanea, pone questioni che vanno ben oltre le singole sorti della testata. “La Gazzetta del Mezzogiorno” più e meglio degli altri quotidiani regionali e provinciali, aveva contribuito a creare una rete mediatica che precedeva Internet e il digitale. Commentarla, per i numerosi lettori, significava aderire al grande circuito della comunicazione. Ed era indispensabile come accompagnamento ai quotidiani nazionali, li integrava e quasi sempre ne ampliava la prospettiva frettolosa quando avvenimenti locali facevano titolo anche al di fuori.
Per questo è urgente che le complesse vicissitudini economico-giudiziarie che ne hanno determinato l’attuale chiusura siano acquisite in un ambito istituzione che responsabilizzi, oltre ai sindacati e alle associazioni di categoria, la politica.
Enzo Verrengia