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Stop ai frontalieri in Canton Ticino, vince il sì

La tendenza dei paesi a richiudere le frontiere per frenare i flussi migratori non risparmia nessuno; neppure la Svizzera, quando i migranti nella fattispecie siamo noi italiani. Questa la prima considerazione, a caldo, sul referendum promosso dalla destra nazionalista Udc con il sostegno della Lega dei Ticinesi, che ieri ha visto prevalere, con una percentuale del 58%, i sì ai limiti ai lavoratori frontalieri da parte dei cittadini del Canton Ticino.

Per questi lavoratori ora si apre un futuro denso di incognite. Da qui la richiesta della Cisl di aprire un tavolo di confronto alla Farnesina. "Abbiamo inoltrato tramite il Presidente del coordinamento transfrontalieri Cisl, Mirko Dolzadelli al Consiglio generale degli italiani all’estero (Cgie), di cui lo stesso Dolzadelli è consigliere, la richiesta di apertura di un tavolo di confronto interministeriale presso la Farnesina per discutere una proposta di Statuto dei lavoratori frontalieri in modo da tutelare maggiormente la figura del lavoratore frontaliero e che permetta di produrre accordi bilaterali con i Paesi di confine che prevedano specificatamente una disciplina del lavoro per le aree tranfrontaliere". E' quanto sottolinea la stessa Confederazione di Via Po in una nota. "Il referendum ticinese non produrrà alcun effetto sul piano legislativo. L’iniziativa vorrebbe infatti introdurre dei limiti nell’assunzione di manodopera  frontaliera istituendo un diritto di precedenza per il personale residente. Tuttavia, per mettere in pratica quanto richiesto, sarebbe necessario modificare la Costituzione federale, cosa che può essere fatta solo a livello nazionale, mentre la votazione dell’iniziativa popolare è avvenuta a livello cantonale. L’iniziativa ha avuto pertanto un valore politico di pressione sul Governo svizzero. Tuttavia quanto accaduto ieri pone ancora più tensione nei rapporti già critici tra Italia e Svizzera (o meglio, tra Italia e Canton Ticino), finendo per generare un clima altrettanto pesante attorno alla vita lavorativa del frontaliere, da sempre risorsa vitale per l’economia dei Cantoni di frontiera, eppure mai così attaccato come  in questi tempi dalla politica in cerca di un facile consenso".

Anche per Domenico Pesenti, presidente dell'Inas Cisl “si tratta di un segnale politico molto preoccupante, che dà voce e spazio a paure e sentimenti di rifiuto di una presenza ormai storica e consolidata, come quella italiana, al di fuori di qualsiasi logica economica e politica sensata”.

“Il voto espresso in Ticino – aggiunge Pesenti - è l’ennesima dimostrazione del fatto che chi butta benzina sul fuoco rispetto ai problemi legati alla libera circolazione non si rende conto che è inutile trattare la questione con un approccio solo emotivo, quando invece è fondamentale trovare soluzioni razionali che non lascino spazio ad una chiusura preconcetta verso l'esterno, così come più volte dichiarato anche dal sindacato ticinese Ocst”.

Per Gianluca Lodetti, responsabile Estero dell’Inas, e membro del comitato di Presidenza del Cgie, “si tratta di una conferma del clima che si respira anche in Italia sul tema delle migrazioni. In questo contesto, risulta ancora più importante l'iniziativa promossa dal Consiglio Generale degli Italiani all'Estero dell'apertura del tavolo interministeriale per la predisposizione di uno Statuto dei Lavoratori frontalieri, ipotesi su cui le confederazioni sindacali stanno già lavorando da tempo".

Stamattina le migliaia di frontalieri che quotidianamente varcano il confine sono passati come tutti gli altri giorni. Nessun controllo particolare, nessuna richiesta in più di far vedere i documenti. Dalla parte italiana in tanti non nascondono il loro disappunto. “Una vera schifezza - ha detto in bar un pensionato ex frontaliere - quelli di là ci hanno sempre trattato di m...”. Ma gli italiani che lavorano in Svizzera cercano invece di sdrammatizzare. Come i due operai impegnati nel cantiere sul confine. “Non cambierà nulla - hanno detto - noi facciamo un lavoro che gli Svizzeri non vogliono fare, siamo qui da tanti anni, entriamo per lavorare e ce ne andiamo la sera, non abbiamo mai avuto problemi”.

Meno contenute le reazioni in Italia ed in particolare in Lombardia. Il presidente della Regione, Roberto Maroni, ha annunciato che la Regione “predisporrà le adeguate contromisure per difendere i diritti dei nostri concittadini lavoratori”. Il segretario regionale Pd Alessandro Alfieri ha invece puntato il dito contro l’amicizia fra il Carroccio e Lega dei ticinesi, mentre l’europarlamentare Lara Comi (Fi) ha annunciato di aver scritto alla commissaria Ue Marianne Thyssem per chiedere di “poter avviare urgentemente la sospensione di tutti gli accordi ad oggi in essere tra Svizzera ed Europa”. Per Antonio Locatelli, responsabile del Coordinamento provinciale dei frontalieri del Verbano Cusio Ossola, invece, non si possono addossare alla Svizzera le colpe dello Stato Italiano. “Gli svizzeri, dal loro punto di vista, non hanno tutti i torti...”, ha detto. Sono seimila gli italiani che ogni giorno partono dalla provincia di Verbania, in Piemonte, per recarsi al lavoro in Svizzera. “Credo che il Ticino abbia avuto anche troppa pazienza, sotto certi aspetti: non con i frontalieri ma con un governo italiano incapace di dialogare con un Cantone che sfama 65 mila famiglie italiane altrimenti senza lavoro. Da tempo evidenziamo i problemi della categoria, che sono svariati, a partire dalla fiscalità, per passare alla viabilità e alla previdenza, ma non abbiamo risposte - sottolinea Locatelli, anche lui lavoratore frontaliero -: sono due anni ad esempio che chiediamo di togliere il blocco sul conto corrente in Svizzera oltre i 50 mila franchi di prelievo annuo. Promettono impegno e aiuti che alla fine non arrivano mai”.

Duro il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni: “libera circolazione o ci saranno conseguenze”, ha dichiarato. Mentre il sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova ha commentato la “scelta (di fatto) anti-italiana” del Ticino affermando che “non risponde ad una scelta razionale ma emotiva ed ideologica, l’ideologia della chiusura nazionalista, dei muri contro lo straniero ’a prescindee”.

Preoccupato ma per niente sorpreso dai risultati Eros Sebastiani, presidente dell’Associazione Frontalieri Ticino, che ha sottolineato il “clima di malessere oltreconfine”. “Seppur votato, l’esito del referendum sarà di difficile applicazione e non cambierà l’orientamento del mercato del lavoro cantonale”, si dice invece convinto Sergio Aureli, responsabile frontalieri del sindacato svizzero Unia.

( 26 settembre 2016 )

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