Eutanasia di una classe politica. In queste ore - dopo che in Svizzera Dj Fabo è andato a consumare il proprio suicidio assistito non senza nelle settimane precedenti aver criticato i parlamentari italiani “senza coraggio” sulla legge che non c’è per il testamento biologico – destra, centro e sinistra, laici e cattolici, deputati e senatori tornano a parlare di come legiferare sull’argomento. I Radicali e Marco Cappato, che ha accompagnato Dj Fabo in Svizzera nel suo ultimo viaggio, stanno facendo la loro battaglia politica per far riconoscere quelli che ritengono diritti civili. E gli altri, come la pensano? Prima di entrare nelle contraddizioni sulla vita e sulla morte che da sempre dividono la nostra classe politica, diamo un’occhia - ta alle parole che ieri ha pronunciato sull’argomento il professor Guido Fanelli, ordinario dell'Università degli Studi di Parma, esperto in terapia del dolore nonché coautore della Legge 38 del 2010 ”"Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore”. ”Spesso -ha detto Fanelli - le notizie che riguardano l'eutanasia creano confusione, per questo occorre fare una distinzione quando si parla di suicidio assistito come il caso di Dj Fabo, differente dalla sospensione delle cure, richiesta dai famigliari di Eluana Englaro, dall’accanimento terapeutico e dall'eutanasia, l'iniezione, voluta da Piergiorgio Welby”. ”E per questo - ha aggiunto Fanelli - nella marea della soggettività dei casi clinici, l'oggettività che è insita nella elaborazione di una legge che ne disciplina la materia è poco applicabile, nonostante la dignità umana sia un bene supremo ed imprescindibile, sia in vita che in morte. Ed è questo che ci distingue”.Le differenze sottolineate da Fanelli, importanti e di sostanza, ci danno l’occasione per porre delle domande ai nostri parlamentari, di destra, di centro e di sinistra, prima ancora che criticarli. L’Italia si sa, essendo un Paese di tradizione cattolica, da sempre sui temi etici su cui la politica è chiamata a legiferare, si divide. E’ stato così sull’aborto, persino sul divorzio, è stato così sulle coppie di fatto. Ed è così anche e soprattutto sul fine vita, l’eutanasia, il suicidio assistito. In Italia, per esempio, ci sono i Radicali, da sempre in prima fila nelle battaglie su eutanasia (aborto e divorzio in passato) e c’è l’Asso - ciazione Provita Onlus il cui presidente Toni Brandi il 16 febbraio scorso ha tenuto una conferenza proprio alla Camera, sul tema “dati e eutanasia, la parola ai pazienti” dove erano chiamati a raccontare la propria storia quattro persone, con gravi sofferenze, ma con voglia di vivere (queste sono Max Tresoldi, risvegliatosi dal coma dopo 10 anni; Sylvie Menard, ricercatrice oncologica e affetta da tumore al midollo osseo; Sara Virgilio, caduta - dopo un terribile incidente - in un coma dal quale vi erano piccolissime probabilità di uscire; Roberto Panella, risvegliatosi dal coma e dallo stato vegetativo dopo tre mesi). I Radicali, pro eutanasia dunque. E i provita contro. La politica in Parlamento dovrebbe avere il compito di legiferare oltre gli schieramenti tenendo conto della realtà e del valore della vita e dei diritti nel nostro ordinamento. Per cui la prima domanda che ci sentiamo di porre alla nostra classe politica è: sino ad ora non lo avete fatto per opportunità, perché non avete trovato una linea condivisa o perché non ne siete capaci? La seconda invece riguarda un impegno: in quanto tempo pensate, dopo il caso di Dj Fabo, di riuscire a mettere a punto una legislazione sul tema di eutanasia e fine vita in Italia? Terzo punto: adesso in Italia è vietata ogni forma di eutanasia e di assistenza al suicidio. Sul tema sono state avanzate diverse proposte di legge, rimaste però tali. Domanda: se la maggior parte della nostra classe politica ritiene che sia giusto mantenere questo status quo perché non ha il coraggio allora di dirlo e di rivendicare questa mancanza di una legislazione specifica sul tema come propria scelta? Un dibattito serio di una classe politica che non desideri andare incontro alla propria eutanasia su temi delicati come vita e morte, dovrebbe almeno ricominciare da queste tre domande. Dando anzitutto le risposte. Perché come ha scritto il filosofo francese Jean-Paul Sartre “si è sempre responsabili di quello che non si è saputo evitare”.