Il passaggio dalla Repubblica dei partiti a quella dei leader, dalla rappresentanza della politica alla sua rappresentazione. Nel libro “I costruttori di equilibri politici” (edito da “la Bussola”) Andrea Covotta, già vicedirettore del Tg2 ed attualmente direttore di Rai Quirinale, attraverso la lungimirante visione di alcune personalità riannoda gli eventi degli ultimi 75 anni mettendoli in analogia con il periodo attuale.
Covotta, nel tuo libro racconti i costruttori degli equilibri politici del Dopoguerra. Chi e per quale motivo hai annoverato in questa categoria?
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha detto che questo è il tempo dei costruttori e non vanno inseguiti illusori vantaggi di parte. Una dichiarazione perfetta per il periodo che stiamo vivendo concepito tutto sulla ricerca del consenso effimero e senza una visione di lungo periodo. Per queste ragioni ritengo che era arrivato il momento di raccontare la storia dei personaggi politici più importanti del secondo dopoguerra. Personalità che hanno ricostruito il nostro Paese, a partire da De Gasperi e Moro. Uomini che hanno contraddistinto un’e poca militando all’interno della Democrazia Cristiana, un partito durato mezzo secolo, un tempo che non merita di essere banalizzato o ridotto ad una semplice abitudine al compromesso o alla prudenza e alla gestione del potere. Dietro quella storia c’era un pensiero. Una politica fatta appunto da costruttori di equilibri, da tessitori inclusivi capaci di ricomporre i tanti frammenti sparsi della nostra società.
L’idea nasce insomma da quella politica “alta” intesa come risoluzione di problemi e di mediazione tra interessi diversi che ha caratterizzato i primi trent’anni della nostra storia repubblicana e che ha consentito all’Italia di passare da Paese agricolo ad industriale conoscendo gli anni del boom economico. La lungimiranza di De Gasperi inoltre ha fatto dell’Italia uno dei paesi fondatori dell’Europa insieme alla Francia di Schuman e alla Germania di Adenauer: tre statisti cattolici.
Aldo Moro ed Enrico Mattei, per ragioni diverse, sono stati protagonisti di nuovi equilibri nazionali cercando di assicurare all'Italia uno spazio autonomo nella politica e nell'economia. Al di là del prezzo che hanno pagato, in che misura sono riusciti a centrare i rispettivi obiettivi?
Credo che entrambi hanno raggiunto gli obiettivi che si erano prefissi. Enrico Mattei ha modernizzato il Paese, è l’uomo che contribuisce a risollevare l’Italia dalle macerie del dopoguerra e condurla al miracolo economico, il simbolo della rinascita e della cultura industriale degli anni quaranta e cinquanta. Affranca l’Italia dal dominio del cartello del petrolio delle “sette sorelle”, cioè le grandi compagnie petrolifere statunitensi e britanniche che allora dominavano il mercato.
Rompere questo equilibrio ha un prezzo che, probabilmente, paga con la vita. Ma come dice lui stesso chi si occupa di petrolio fa politica, anzi fa politica estera e questo suo impegno dà all’I talia una dimensione internazionale nello scacchiere mondiale al tempo della guerra fredda. Aldo Moro centra tutti gli obiettivi politici che si è dato e ridisegna la politica italiana dopo la scomparsa di De Gasperi. Costruisce equilibri innovativi prima attraverso il centrosinistra e poi con la solidarietà nazionale aprendo all’altra “Chiesa” il partito comunista, intuendo che solo la democrazia dell’alternanza avrebbe detto all’Italia la stabilità necessaria per affrontare e sfide del futuro. La sua morte segna, come dico anche nel libro, la fine di una stagione e apre quella della frammentazione che stiamo ancora vivendo.
La caduta del Muro di Berlino del 1989 e Tangentopoli nel 1992 hanno segnato il passaggio dalla Repubblica dei partiti a quella dei leader. Quali ti sembrano le conseguenze più importanti di questo passaggio?
Ritorno di nuovo a Moro perché è stato il leader politico più attento ai cambiamenti della società italiana. Capire ed interpretare i tempi nuovi era per lui il senso della politica. Legge in questa chiave le trasformazioni in corso nel mondo giovanile e nel mondo del lavoro dicendo che dopo la stagione dei diritti il Paese si sarebbe salvato solo se avesse aperto la stagione dei doveri. Una politica che accompagna i processi sociali ed economici per arrivare come diceva lui stesso, dalla “democra zia difficile alla democrazia compiuta”. Quel percorso si interrompe nel ’78. La caduta del muro e Tangentopoli sono le conseguenze di una politica che ha smesso di capire la società, si è adagiata cullandosi nel potere e nella prospettiva illusoria che quel mondo non poteva crollare ed invece è caduto rovinosamente. Oggi, senza i partiti indispensabili in una democrazia parlamentare, a guidare sono i leader che però inseguono le pulsioni della società; e la loro inconcludenza ha aperto le porte ad una contesa politica basata sullo scontro permanente e sul trasformismo. La politica oggi, più che esprimere una rappresentanza è diventata piuttosto una rappresentazione, si mette in scena una sorta di teatrino che non racconta il disagio o le ansie del Paese ma un’idea distorta dove i problemi si elencano e non si affrontano.
L'ultimo capitolo del tuo libro parte dall'incontro alla Casa Bianca del 2019 tra e Donald Trump e Sergio Mattarella. In quale forma e sostanza, a livello nazionale e a quello internazionale, anche il Presidente della Repubblica uscente può essere definito un costruttore di equilibri politici?
Mattarella è un seguace di Moro e questa legislatura così caratterizzata dalla pandemia e tormentata politicamente ha messo in evidenza le sue grandi capacità. Rispetto a presidenti cosiddetti interventisti come Scalfaro o Napolitano, non ha mai interferito con l’autonomia dei partiti ed ha agito facendo sciogliere le avversità, usando ago e filo per tessere il possibile filo del dialogo tra forze politiche distanti come è accaduto in tutti i governi di questa legislatura che ricordiamolo si è aperta con un governo sovranista e anti europeista e si è chiusa con l’ex Presidente della Bce a Palazzo Chigi. Sul piano internazionale si è fatto rispettare da un Pre- sidente da lui lontanissimo come Trump e ha stretto un rapporto di fiducia personale con Macron e con i maggiori esponenti delle democrazie occidentali.
Mi disegni l'identikit di un costruttore “prossimo venturo” di equilibri politici? Magari a partire dal prossimo inquilino del Quirinale?
A tracciare l’identikit del successore di Mattarella è stato lo stesso Capo dello Stato quando nel suo ultimo discorso agli italiani lo scorso 31 dicembre ha detto che il futuro Presidente deve preservare due esigenze di fondo: spogliarsi di ogni appartenenza e farsi carico dell’interesse generale. Mattarella dal Quirinale ha disegnato equilibri politici come quando ha puntato su Mario Draghi perché c’era un Paese da pacificare e da ricostruire. Il prossimo Capo dello Stato deve insomma essere un nuovo Mattarella e proseguire lungo una strada già tracciata, mettendo in connessione le istituzioni con l’opinione pubblica e ricordando a tutti che il Presidente è il garante dell’unità nazionale e che non ha paura di compiere scelte difficili sempre nell’in teresse generale e non di parte.
Infine, puoi raccontarci sia dal punto di vista umano sia da quello professionale la tua esperienza come Responsabile di Rai Quirinale?
Da un punto di vista professionale è una sfida che è arrivata dopo che per tanti anni mi sono occupato di politica prima come giornalista parlamentare, poi ho seguito l’attività dei Presidenti del Consiglio e infine ho fatto il capo redattore del politico al Tg2. Una sfida affascinante ed inedita perché la funzione di Rai Quirinale è quella di essere una garanzia di equilibrio verso la maggiore Istituzione del Paese e che il servizio pubblico ha il dovere di assicurare. In virtù di una convenzione la struttura ha il compito di trasmettere ogni iniziativa del Capo dello Stato, non solo i messaggi più importanti come quello di fine anno o del 2 giugno ma tutti gli eventi che si svolgono al Quirinale, in Italia e all’estero. Da un punto di vista umano il mio rapporto è di grande collaborazione e di stima con l’ufficio stampa del Quirinale e in particolare con Giovanni Grasso. il portavoce del Capo dello Stato. Con i colleghi della struttura e con i giornalisti della Rai che seguono l’attività del Presidente della Repubblica si è stabilita un’amicizia, con alcuni di loro ci conosciamo da anni e riusciamo anche nei momenti più concitati a trovare un’intesa e a sciogliere inevitabili tensioni.