Magnus, o dell’erotismo angoloso e insieme plastico. A venticinque anni dalla sua morte, Roberto Raviola incide ancora con il suo tratto molto marcato le fantasie più ardite di una generazione che l’ha adorato a precedere Alan Ford. Le cosce inguainate con reggicalze di Satanik e della coppia Lola-Gloria, le due donne di Kriminal, le maliarde che tentavano di sedurre l’agente Dennis Cobb, gli spogliarelli interplanetari di Gesebel, precedenti quello in Technicolor di Jane Fonda per i titoli di testa del film “Barbarella”, fino all’hard core di Necron. La femminilità procace ma, appunto, segnata da una geometria spigolosa e per questo emblematica, rimane l’eredità grafica più rappresentativa dell’artista che scomparve nel febbraio del 1996, appena dopo aver lavorato per ben sette anni al grande albo di Tex, oggi da annoverare fra gli assoluti del fumetto. Niente avrebbe lasciato intendere una carriera tanto protesa all’apice dell’espressione disegnata per questo ragazzo del ’39, nato nella Bologna della Resistenza così vicina alla Reggio Emilia dei moti operai del 1960 e dell’Appartamento, dove incubò il vivaio delle Brigate Rosse. Roberto Raviola aveva studiato all’Accademia delle Belle Arti, seguendo la predisposizione al figurativo, per poi insegnare disegno nelle scuole e lavorare come pubblicitario. Ma erano gli anni ’60 italiani, l’età dell’oro per gli albi da edicola. Con una televisione ancora in bianco e nero e limitata a due canali, dai tempi ristrettissimi di trasmissione –solamente le ore serali– la fame di evasione doveva essere placata altrimenti. I romanzi? Troppo impegnativi. Inoltre, l’analfabetismo non era del tutto debellato, e non lo sarebbe stato mai. I giornali? Certo, quelli sportivi. Quanto all’informazione allargata, non riguardava la massa, avida di ben altro che la cronaca, a meno che non fosse nera e truculenta. Ecco allora le storie disegnate, con pochi dialoghi nelle nuvolette, dall’ortografia e dalla punteggiatura facilitate, con abbondanza di figure a china. Sintetiche, eppure piene di rimandi e sollecitazioni. Raviola esordisce con lo pseudonimo di Bob la Volpe, poi di “Magnus”. Componente di un duo che diverrà leggenda. Magnus & Bunker, i demiurghi dapprima del fumetto nero, per adulti, poi della comicità irresistibile di Alan Ford. L’anno della svolta è il 1964. Dal 1962 imperversava Diabolik, il Re del Terrore, serissimo e monogamo con la sua Eva Kant. Ogni sua avventura costituiva un esempio di colpo perfetto, corredato di alta tecnologia, colpi di scena e mascherini che conferivano alle vignette i volumi di un’autentica cinematografia cartacea. Il milanese Luciano Secchi, Max Bunker, decide di rivoluzionare questo apparato narrativo. Il suo Kriminal sarà scanzonato, godereccio, più vendicatore che malvagio, soprattutto donnaiolo. Nonostante abbia una fidanzata ufficiale, Lola, non disdegna di accontentare le altre, magari qualche tardona che adesso rientrerebbe nella categoria delle “cougar”. Perché senza la calzamaglia con lo scheletro dipinto, si chiama Tony Logan, è biondo e belloccio. Ha anche un trascorso: se l’intendeva con Gloria, la donna che successivamente passa al peggior nemico di Kriminal, l’ispettore Milton. Il successo degli albi dà la stura a un gruppo di personaggi consimili, nell’impostazione grafica di Magnus e nel taglio affabulatore di Bunker. Escono così l’agente SS118 Dennis Cobb, Gesebel, la corsara dello spazio e, naturalmente, Satanik. Quest’ultima troneggia di gran lunga sulla brigata di Magnus & Bunker. L’orrenda Marnie Bannister, chimica trasformata in bellissima omicida, accorpa tutto quanto pretendeva dall’universo femminile l’immaginario del maschio italiano che spuntava all’era postmoderna. Ossia illimitata disponibilità sessuale, spregiudicatezza da meretrice, personalità non disgiunta da una vena dominatrice sadomaso. Inoltre, Satanik aggiornava il repertorio del racconto di streghe, un classico radicato nell’infanzia di tutti. La rivisitazione contemporanea di Gesebel e di Marnie Bannister sfocerà venti anni dopo nella saga di Milady, dove lo sfondo fantascientifico realizza un’evoluzione del grafismo di Magnus a vette di puro affresco. In parte ne beneficia anche Necron, omaggio alla pornografia dei fumetti per adulti proposta dall’autore quando ormai non la si trovava più dai giornali. Inoltre, il mostro iperdotato ammicca a quello di Frankenstein, ne esplicita la voracità stupratrice che nel romanzo di Mary Shelley è sottintesa ed affiora solo nella celebre battura del film “Frankenstein Junior”, di Mel Brooks: «Ma allora avrà un enorme Schwanstruck!» Lo sconosciuto” univa superbamente i tre aspetti dell’opera precedente di Magnus. La suspense e l’erotismo del thriller per adulti, l’intreccio avventuroso delle migliori storie di Kriminal e l’ironia di Alan Ford. Il tutto senza i testi di Secchi, che pure avevano segnato di un’impronta indelebile la saga del disegnatore. Unknow, non “unknown”, che letteralmente significherebbe “sconosciuto”, sortiva dall’inferno dei suoi incubi molto prima del Marlon Brando di “Apocalipse Now”. E al contrario di quest’ultimo non sedeva nell’ombra di una corte dei miracoli dimenticata fra la giungla. Cercava invece di districarsi nel mondo impazzito degli anni ‘70, in mezzo al terrorismo internazionale e alla follia nascente di un’umanità che si avviava verso i disastri di fine millennio. Di volta in volta, Unknow si trasformava da pedina inconsapevole di intrighi pulp ad agente consapevole ed accorto della propria sopravvivenza. Dal traffico di armi di “Poche ore all’alba”, passando per la saga politico-familiare di “Largo delle Tre Api” e “Morte a Roma”, dal giallo ereditario de “I cinque gioiellieri” al voodoo de “Il sequestrato della Sierra”, per finire con la guerra in Medio Oriente di “Vacanze a Zahlè”, il personaggio affrontava una contemporaneità non più narrabile con le risorse tradizionali della fiction. Infine, la cialtroneria che si eleva a dignità e diviene esilarante, per acquisire una forza epica dalle punte di lirismo. Succede alla combriccola di Alan Ford. La serie a fumetti più rappresentativa dell’ondata rigeneratrice che segnò il passaggio dagli anni ’60 ai ’70 non ha perduto la sua carica irripetibile dopo tanto tempo, con il XXI secolo già all’inizio della seconda decade. Si capisce. La prima uscita di Alan Ford data maggio 1969. A ridosso di quel 21 luglio in cui l’uomo sarebbe sbarcato sulla Luna. Tutto ciò che ha forti legami con quel periodo conserva il peso del futuro in arrivo, con tante promesse, mantenute o meno. L’impronta parodistica di Alan Ford risente inoltre della caduta a picco verticale che subisce sul grande schermo il genere spionistico. Certo, le platee sono ancora numerose per i film di 007. E non potrebbe andare diversamente per il carisma del protagonista, malgrado altri interpreti succedano a Sean Connery. L’epoca degli agenti segreti, però, è finita. Come la guerra fredda, ormai trapassata nella distensione. Così il Gruppo T.N.T., annidato nel retrobottega di un’orribile fioreria newyorkese, risponde in termini quasi canonici alle vere coordinate dello spionaggio, quelle, per intendersi, che caratterizzano i libri di John Le Carré. Squallore, scarsità di fondi e di mezzi, propensione agli espedienti per sopravvivere. Il Gruppo T.N.T. è molto più credibile del Servizio Segreto di James Bond, con un capo attempato ed elegante, servito da una segretaria, sempre appetitosa malgrado l’incipiente menopausa. Il contrario del burlesco Numero Uno, che recluta l’ignaro e candido grafico pubblicitario Alan Ford per un ciclo di missioni ad altissimo rischio di risata. Affiancandogli come spalla l’irascibile e fracassone Bob Rock, perennemente paludato alla Sherlock Holmes, la Cariatide, braccio destro del direttore, il Conte Oliver, con la sua tendenza al furto di bassa lega, Geremia, il burocrate, Otto Grunf, un tedesco che assolve le mansioni di inventore ed armaiolo, come il vecchio “Q” dei film di 007, più un serraglio, composto dal bracco italiano Cirano, dalla cavietta Squitty e dal pappagallo Clodoveo. L’Arcinemico è Superciuk, dall’alito pestilenziale per via dell’alcol che tracanna, specializzato nel rubare ai poveri per dare ai ricchi, contrariamente a Robin Hood. Tutto il carosello di fascino e caricature firmato Magnus graviterà per sempre nell’orbita del talento disegnato, anche quando la carta ingiallirà e la stampa sbiadirà.