Venerdì 19 aprile 2024, ore 20:11

Social media

La disputa felice: dissentire senza litigare? Si può fare!

di Giampiero Guadagni

Dalla Donazione di Costantino ai Protocolli dei Savi di Sion; passando per la cronaca di Orson Welles dell'invasione aliena degli Stati Uniti fino alle teste attribuite a Modigliani. E' lunga e antica la lista delle notizie bufala che oggi chiamiamo fake news. Un concetto del quale, nel senso di notizia inventata o volutamente distorta, è entrato nel linguaggio comune da un paio d’anni. Un ”virus” che ha contagiato anche le ultime elezioni presidenziali americane e potrebbe intrufolarsi anche in quelle italiane, soprattutto via internet. Di questo parliamo con Bruno Mastroianni - giornalista e consulente per i social media de “La grande Storia” di Rai 3, nonché docente di Teoria generale della comunicazione – che nel suo libro ”La disputa felice, dissentire senza litigare sui social network, sui media e in pubblico”, (Franco Cesati Editore), offre un prezioso strumento per trasformare sterili battibecchi digitali in esperienze costruttive.

D) Anche Papa Francesco scende dunque in campo contro le fake news, “fenomeno capace di far dilagare l’odio e l’arroganza”. Qual è a suo giudizio, professor Mastroianni, l’aspetto del messaggio del Papa che va messo in particolare evidenza?

R) Che le fake news non sono come oggetti che vagano nel web, come entità autonome e incontrollate, ma che hanno a che fare direttamente con il nostro impegno - maggiore o minore - nella ricerca della verità. Le notizie false, o anche solo imprecise, manipolate, inaccurate, trovano terreno fertile nella nostra mancanza di sforzo per porci una domanda in più su ciò che incontriamo, cerchiamo e diffondiamo nel web.

D) Ma al di là della responsabilità individuale di chi fa e cerca informazione, c’è un metodo oggettivamente corretto per combattere le fake news? E semmai, alla fine, non resta sempre la domanda: come controllare l'autorità del  controllore?

R) Il paradosso del controllore è centrale. Se infatti cercassimo un’autorità che avesse l’ultima parola, finiremmo o nell’istituirla arbitrariamente - e questo è il regime - o nell’andare a ritroso all’infinito. Dal mio punto di vista se ne può uscire abbandonando l’illusione di qualcosa di “controllato” per entrare nell’idea dei “controllanti”: un dibattito il più possibile libero e consapevole in cui correggersi a vicenda. In questo ogni attore sociale dovrebbe fare la sua parte nel suo campo: la scuola cogliendo la sfida di formare nelle aule futuri cittadini tecnologicamente consapevoli, il mondo del lavoro prevedendo occasioni di formazione sul tema dell’online, i giornalisti facendo molto bene la loro professione non solo nel portare i lettori a fare click sui propri articoli, ma inserendo in essi spunti di riflessione e spiegazioni su ciò che rende affidabile o meno una certa informazione. Abbiamo potenziato la società grazie alla connessione permessa dalla tecnologia, ora potenziamo i cittadini nella capacità di vivere costruttivamente sapendo mettere alla prova le informazioni in questa iperconnessione. Quello che non funziona è pensare che il problema si possa risolvere con un metodo vecchio “dall’alto”. Un problema di rete e si deve risolvere “in rete”: ognuno deve occuparsi della questione per ciò che gli spetta.   

D) A proposito di responsabilità: Facebook ha annunciato una rivoluzione: l’algoritmo privilegerà gli aggiornamenti di amici e familiari rispetto ai post delle pagine, siano esse pubblicità o news. E’ la strada giusta o in fondo è una resa in nome del business?

R) È una strada anzitutto interessante. La capacità di Facebook in questi anni è stata quella di evolvere continuamente, seguendo il criterio più rilevante: quello umano. Facebook di oggi è una cosa completamente diversa da quello che era all’inizio. I vari adattamenti sono stati fatti cercando di prediligere l’esperienza umana all’interno della piattaforma. Se ci siano sempre riusciti o no è un altro discorso. Il ritorno alle discussioni tra vicini e amici, va in questa direzione. C’è chi sostiene che sia una mossa fatale per Fb, a mio avviso è vincente: le persone amano discutere circondandosi del proprio giro di interlocutori omogenei. Diverso è domandarsi se questo possa andare bene come dieta informativa. Secondo me è altamente insufficiente: se si vogliono davvero avere informazioni rilevanti e attendibili sul mondo ci vogliono altre fonti all’infuori di Facebook e una cerchia di interlocutori disomogenei.

D) Il Papa è tra l’altro preoccupato che le fake news siano in grado di manipolare le scelte politiche. In vista del voto del 4 marzo c'è un vero e proprio allarme sulla disaffezione e relativo assenteismo. In che misura i social sono in grado di convincere i disillusi e gli arrabbiati, soprattutto i giovani, ad andare alle urne?

R) Non credo che i social convinceranno mai nessuno a fare nulla. Casomai gli interlocutori politici, attraverso i social, potrebbero cercare di costruire relazioni di valore sia con i propri elettori, sia con altri cittadini indecisi o disaffezionati. Il punto non è tanto la tecnologia, che permetterebbe questo scambio, ma la volontà: si vuole davvero costruire questo ponte relazionale o piuttosto, quello che vediamo, assomiglia di più a cercare di consolidare e monetizzare, in termini di voti, il consenso in chi è già convinto? Come ha detto bene più volte Dino Amenduni, esperto di comunicazione politica, la politica viene prima della comunicazione, o meglio la seconda non sostituisce la prima: cosa si fa davvero per le persone? Si danno reali risposte alle domande e alle istanze dei cittadini? È quello che può portare alle urne. Una questione molto più impegnativa e complessa che ideare hashtag efficaci o tweet con grande engagement (che pure servono).

D) Più in generale, Internet è davvero la nuova agorà in cui i cittadini discutono e decidono? O, come molti denunciano, è solo il luogo in cui si scatenano animosità e risentimento e le opinioni si appiattiscono?

R) Entrambe le cose. Internet non esiste, internet siamo noi. E tra di “noi” c’è di tutto: chi se ne approfitta e chi costruisce, chi ci vuole guadagnare e chi cerca confronti sinceri, ci sono i potenti con i mezzi per manipolare e i deboli con poche difese. Decidiamo noi cosa metterci e come reagire. Se vogliamo davvero fare qualcosa, partirei dagli ultimi della lista: in che modo potremmo metterli in condizione di essere meno preda delle manipolazioni?

D) Da un po’ di tempo si discute sull’opportunità dell’utilizzo dello smartphone in classe. Quali sono i veri pro e i contro?

R) I contro: se ci si illude che basti inserire lo smartphone in classe per avere effetti educativi, siamo destinati al fallimento. I pro: se si prende sul serio la dimensione online, riconoscendola come parte integrante delle nostre vite, su quella si possono inserire tutti i percorsi educativi già presenti nella scuola, adattandoli alla sfida. Faccio solo un esempio: prima insegnavamo agli studenti le materie dando come unica fonte il libro di riferimento, oggi si dovrebbero insegnare le stesse materie discutendo anche della validità delle fonti offline e online. Perché c’è tanta resistenza? Perché ci vuole più impegno. E per tutti noi comporta rivedere e mettere in discussione molte cose che diamo per assodate. D’altronde vivere nella società dell’informazione e della conoscenza richiede maggiori competenze.

D) Dalla scuola alla famiglia. Quali sono gli errori che un genitore non deve commettere con i figli iperconnessi? E a quali condizioni gli strumenti social possono trasformarsi da rischio in occasione di crescita per le relazioni familiari?

R) L’esempio. Dall’inizio dei tempi è l’unico metodo davvero efficace per l’educazione. I genitori (e gli adulti in generale) diano l’esempio. Ciò comporta un grande impegno: conoscere ciò di cui stiamo parlando. I genitori e gli educatori devono smuoversi dalla pigrizia e cercare di conoscere il mondo online in cui vivono i figli. Finché sarà un terreno sconosciuto e omesso dai dialoghi della vita familiare, non sarà mai a portata di nessuna azione educativa. Ho detto volutamente “mondo online” e non “strumenti”: non è una questione di configurazione di dispositivi, è una questione di scambi quotidiani che i giovani compiono online. Se non si parla e non si entra nel merito di quelli, rimane solo la strategia minima (che è inefficace): vietare, spegnere, sequestrare.

D) Torno al documento di Papa Francesco. Il dramma della disinformazione, scrive Bergoglio, è lo screditamento dell’altro, la sua rappresentazione come nemico, fino ad una demonizzazione che può fomentare conflitti. Lei ha scritto un libro “La disputa felice”, in cui per l’appunto ricorda che  comunicare è farsi capire da chi non è d'accordo. Come si impara e si applica questa regola così di buon senso ma così tanto faticosa?   

R) Intanto riconoscendo che l’atteggiamento di difesa e di allontanamento dell’altro “diverso”, è un istinto umano naturalissimo. Tendiamo a voler avere solo conferma delle nostre idee e ci circondiamo di chi è d’accordo con noi. Ogni volta che incontriamo la differenza, invece, sentiamo il fastidio di dover ridiscutere il nostro mondo di fronte alle istanze dell’altro. In questa fatica però si può scorgere un vantaggio: quando decidiamo di rielaborare le nostre idee per farci capire, facciamo lo sforzo di capire meglio anche chi siamo noi, scegliamo con più cura le parole, tendiamo a costruire argomentazioni più accurate. In questa fatica diventiamo migliori: sia più acuti, sia ci purifichiamo da tante “scorie” superficiali del nostro modo di vedere le cose, che spesso è basato più sulla comodità e l’imitazione che la vera messa alla prova delle nostre convinzioni. In altre parole l’altro ci costringe a una piccola fatica che però poi ci produce un gran bene.

D) L’eterna lotta per la verità viene rilanciata con forza dall’ultimo film di Spielberg The Post, sulla battaglia condotta da due giornali che rivelarono le bugie sulla guerra del Vietnam. La storia è degli anni ’70: ma che ruolo può e deve avere il giornalismo nell’epoca di facebook?

R) Il giornalismo torna ad avere un ruolo centrale nella società, anche se deve cambiare radicalmente prospettiva. In passato il reporter aveva il compito di offrire al lettore una semplificazione attendibile e rilevante delle informazioni a cui accedeva. Oggi il lettore stesso è immerso nel sovraccarico informativo e di solito si semplifica la realtà a suo piacimento, assecondando le sue percezioni (è il terreno fertile per la diffusione di informazioni manipolate). Il giornalista quindi deve fare il lavoro opposto: tenere costantemente davanti agli occhi dei lettori la complessità del mondo. Non solo quindi verificare in prima persona, ma promuovere e suscitare in chi legge la cultura della verifica e delle domande pertinenti. Anche qui: un carico di lavoro maggiore, che quest’epoca, per tanti vantaggi che ci offre, ci richiede.

 

( 2 febbraio 2018 )

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