Sabato 20 aprile 2024, ore 15:41

Lavoro 

Boom dimissioni, la pandemia cambia le priorità 

Crescono oltre quota due milioni le dimissioni dal lavoro in Italia. Il fenomeno, esploso dopo il picco della pandemia e che negli Stati Uniti ha già la portata da ”Great resignation”, continua a registrare numeri mai visti prima anche nel nostro Paese: in media oltre 180 mila al mese nel 2022. E nonostante una frenata nell’ultima parte dell’anno alle spalle, le dimissioni restano ad un livello ben superiore rispetto al pre-Covid. Le motivazioni sono diverse. Ma spesso alla base della decisione di lasciare il proprio posto c’è la spinta a cercare opportunità professionali e salariali migliori o un nuovo equilibrio tra vita e lavoro. Nel 2022 sono quasi 2 milioni 200 mila le dimissioni registrate, in base ai dati sulle comunicazioni obbligatorie del ministero del Lavoro. Un numero in aumento del 13,8% rispetto al 2021, quando in totale sono state 1 milione 930 mila. Nel solo quarto trimestre sfiorano quota 530 mila ma si interrompe il trend positivo rilevato dal secondo trimestre del 2021: calano infatti del 6,1% (-34 mila) nel confronto annuo. Un fenomeno che continua a coinvolgere in misura maggiore gli uomini rispetto alle donne, che più spesso devono già fare i conti con le difficoltà a trovare un impiego e a conciliare famiglia e lavoro. Così come si conferma che, in generale, tra le cause di cessazione dei rapporti di lavoro, la scadenza dei contratti a termine resta la quota decisamente più ampia. Anche i licenziamenti mostrano la stessa tendenza. Questi numeri sono sotto la lente d’ingrandimento dei sindacati. Per il segretario confederale della Cisl Romani ”si tratta di un fenomeno che cambia le priorità nella futura regolamentazione del lavoro. Non solo retribuzioni più elevate ma anche orari più flessibili e meno gravosi, ambienti tecnologicamente più evoluti, lavoro agile, formazione di qualità e prospettive di crescita professionale”. Inoltre, ”una riflessione diventa necessaria anche su quale sia il potenziale del nostro mercato del lavoro stante la tipologia di imprese che lo compongono. Il permanere di una composizione dimensionale che vede l'Italia avere oltre il 95% delle imprese al di sotto dei 10 dipendenti non appare conciliabile con la richiesta di rapporti di lavoro in cui le ragioni di soddisfazione siano più sofisticate e articolate del mero riconoscimento salariale. Occorre quindi che alla contrattazione si affianchino nuove politiche industriali a sostegno di innovazione, crescita e sostenibilità”.
Sottolinea la segretaria confederale Cgil Scacchetti: ”L’aumento delle dimissioni è segno di una maggiore mobilità nel mercato del lavoro, anche se si deve capire se sono determinate da un passaggio a un posto di lavoro migliore o se avvengono anche senza una prospettiva. La ricerca di migliori condizioni sia dal punto di vista retributivo che del riconoscimento della professionalità è un indicatore abbastanza positivo rispetto all'idea di non accontentarsi”.
Intanto il leader della Cisl Sbarra osserva che ”sono ancora tante le vertenze aziendali aperte che riguardano il destino di migliaia di famiglie. Purtroppo da anni si agisce sempre a valle quando le aziende decidono di licenziare o delocalizzare gli investimenti senza una strategia preventiva o una visione di reindustrializzazione”. Per il 23 marzo la Cisl ha organizzato una iniziativa in cui lancerà la proposta di un patto per l’industria, la crescita e lo sviluppo sostenibile. Un’occasione per ribadire che ”ai lavoratori e al sindacato va riconosciuta una funzione consultiva a monte delle scelte strategiche delle aziende. È venuto il momento di concretizzare l’articolo 46 della Costituzione. A breve partiremo con la raccolta firme per una legge sul coinvolgimento dei lavoratori alla gestione, ai risultati e alla organizzazione delle imprese private ed a capitale pubblico”.
Giampiero Guadagni

( 13 marzo 2023 )

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