Nel primo anno di convivenza con il coronavirus, fa sapere un rapporto di Oxfam international, in Italia è cresciuta la concentrazione della ricchezza. La quota, in lieve crescita su base annua, di ricchezza detenuta dal top-10 supera oggi di oltre 50 volte quella detenuta dal 20% più povero dei nostri connazionali.
E l’Ocse aggiunge: la crescita economica potrebbe rallentare in numerose grandi economie mondiali, Italia inclusa, dopo la forte ripresa seguita alla fase più dura della pandemia nel 2020.
L’Ilo, l’Organizzazione internazionale del lavoro, riferisce che il mercato del lavoro globale impiegherà più tempo a riprendersi di quanto si pensasse in precedenza, con livelli di disoccupazione destinati a rimanere al di sopra dei livelli pre-Covid-19 almeno fino al 2023 a causa dell’incertezza sul corso e la durata della pandemia. L’Agenzia delle Nazioni Unite stima l’equivalente di circa 52 milioni di posti di lavoro in meno nel 2022 rispetto ai livelli pre-Covid, circa il doppio della sua precedente stima fatta a giugno 2021. Le perturbazioni sono destinate a continuare nel 2023 quando ci saranno ancora circa 27 milioni di posti di lavoro in meno. Il direttore generale Guy Ryder spiega che ci sono numerosi fattori dietro la sua revisione: il principale è la continua pandemia e le sue varianti, in particolare Omicron. Nel 2021, l'Ilo stima che ci saranno circa 125 milioni di posti di lavoro in meno rispetto ai livelli pre-pandemia e nel 2020, 258 milioni in meno.
In Italia, nel 2020, i dati congiunti MinLavoro, Istat, Bankitalia, Isfol, Anpal evidenziano una significativa riduzione degli occupati (-464 mila) rispetto all'anno precedente, con una conseguente caduta del tasso di occupazione della popolazione 15-64 anni dal 59% al 58,1%, accompagnata dalla contestuale riduzione dei disoccupati e da un consistente incremento degli inattivi.
Da giugno il numero di contratti attivati è tornato sui livelli prevalenti prima dello scoppio della pandemia. Tuttavia la creazione di posti di lavoro è stata sostenuta soprattutto dai contratti a tempo determinato (365.000 su circa 597.000 posti di lavoro). Tenuto conto che molte posizioni a termine sono giunte a scadenza il 31 dicembre 2021, gli andamenti complessivi del 2022 dipenderanno anche dalla ”capacità del sistema produttivo di preservare tali posizioni”.
Inoltre, non si sono ancora riassorbiti i divari di genere alimentati dalla pandemia. La ripresa del 2021 ha favorito l’occupazione maschile, tornata sul sentiero di crescita del 2018-19. Restano ancora ampi i margini di recupero per quella femminile, il cui andamento mostrava segnali di relativa debolezza già prima dell'emergenza sanitaria. Le lavoratrici continuano inoltre ad essere penalizzate da una minore domanda di lavoro di tipo permanente. Nonostante rappresentino circa il 42% della forza lavoro incidono solo per un terzo sul saldo delle posizioni a tempo indeterminato.
Nel 2020 l'Istat stima che per il 44,5% dei lavoratori dipendenti del settore privato extra-agricolo sia stata utilizzata almeno un'ora in Cig. La quota raggiunge il 51,3% per i lavoratori a tempo indeterminato, evidenziando forti concentrazioni nei settori delle costruzioni e degli alberghi e ristoranti (oltre il 70%). Rispetto alla distribuzione del reddito, la percentuale di percettori di Cig e' maggiore nei tre quinti centrali (oltre 47%).
L'indennità per i lavoratori autonomi e atipici ha riguardato il 10,8% della popolazione in età attiva, con incidenze più elevate nel quinto più povero (13,6%) e in alcuni settori, quali agricoltura (65,2%), costruzioni (30%), alberghi e ristoranti (29,2%) e commercio (26,5%). Nel 2020, il 75,5% delle famiglie beneficiarie del RdC è collocato nel quinto di reddito più povero. Il Reddito di emergenza, la misura emergenziale di contrasto alla povertà, ha coinvolto il 62,4% delle famiglie appartenenti al quinto più povero. Sebbene le erogazioni del Reddito di cittadinanza siano destinate principalmente a famiglie con una prevalenza di componenti inattivi, a partire da maggio 2020 si è osservata una diminuzione di queste ultime (dal 69,7% fino ad aprile al 57,2%) e un aumento della quota di famiglie con una prevalenza di individui occupati (dal 19,9% al 30,8%). Il Reddito di emergenza ha coinvolto una quota più ampia di famiglie con individui di cittadinanza non italiana (24,3%) rispetto al Reddito di cittadinanza (14,4%).
Nel mese di dicembre 2021 l’Istat stima un aumento dell’indice nazionale dei prezzi al consumo dello 0,4% su base mensile e del 3,9% su base annua (da +3,7% di novembre).
Vola il carrello della spesa: i prezzi dei Beni alimentari, per la cura della casa e della persona raddoppiano da +1,2% a +2,4%, mentre quelli dei prodotti ad alta frequenza d'acquisto accelerano da +3,7% a +4%. In media, nel 2021 i prezzi al consumo registrano una crescita pari a +1,9% da -0,2% dell'anno precedente. Si tratta dell'aumento più ampio dal 2012 (+3%).
I prezzi dei Beni energetici continuano a crescere in misura molto sostenuta, pur rallentando (da +30,7% a +29,1%).
La variazione media annua nel 2021 è pari a +1,9% (-0,1% nel 2020).
Nel 2021 l'impatto dell'inflazione, misurata dall’Ipca (l'indice armonizzato dei prezzi al consumo) è più ampio sulle famiglie con minore capacità di spesa: +2,4% contro +1,6% per quelle con maggiore capacità di spesa. Rispetto al 2020, il differenziale inflazionistico tra le famiglie più abbienti e meno abbienti diventa positivo ed è pari a otto decimi di punto percentuale. beni incidono in misura maggiore sulle spese delle famiglie meno
Per le famiglie con minori capacità di spesa, l'inflazione inverte la tendenza nel primo trimestre dell'anno, passando da -0,6% dell'ultimo trimestre 2020 a +0,5%, con accelerazioni della crescita sempre più marcate (+1,5% nel secondo e +2,9% nel terzo) fino a portarsi a +4,7% nel quarto trimestre dell'anno.
Nello stesso arco temporale, l'inflazione accelera anche per le famiglie con più elevati livelli di spesa ma a un ritmo più contenuto rispetto alle famiglie meno abbienti.
Per le associazioni dei consumatori l’inflazione al +3,9% su base annua determinerà una stangata media, considerata la totalità dei consumi di una famiglia tipo, pari a 1.198 euro annui. Complessivamente nel 2021 la famiglia tipo italiana, a causa del tasso di inflazione medio all’1,9% registrato lo scorso anno, ha dovuto sborsare 584 euro in più per l'aumento dei prezzi al dettaglio, con punte di +758 euro annui per un nucleo con due figli. Numeri destinati ad aggravarsi in considerazione dei rialzi delle bollette di luce e gas scattati il primo gennaio.
Giampiero Guadagni