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Rapporto Consulenti

In 500 mila via dall’ Italia negli anni della crisi

Un esercito di 509.000 connazionali si è cancellato dall'anagrafe per trasferirsi all'estero per motivi di lavoro nel periodo 2008-2016. E' quanto risulta dal rapporto "Il lavoro dove c'è" dell'Osservatorio statistico dei Consulenti del lavoro, presentato questa mattina, a Roma. La prima meta degli italiani è stata la Germania, dove nel solo 2015 in 20.000 hanno trasferito la residenza; al secondo posto, "in forte crescita", la Gran Bretagna (19.000) e, in terza posizione, laFrancia (oltre 12.000).

In particolare, nel periodo 2008-2015, la disoccupazione nel Mezzogiorno "ha prodotto un aumento di 273.000 residenti al Nord e di 110.000 al Centro", con un totale di 383.000 persone andate via dalle regioni del Sud. I flussi migratori più intensi da Campania (-160.000 iscritti all'anagrafe dei comuni), Puglia e Sicilia (-73.000). Le regioni che hanno ricevuto il numero maggiore di cittadini: Lombardia (+102.000), E.Romagna (+82.000), Lazio (+51.000) Toscana (+54.000).

Una conferma arrivva dall’Istat: le tipologie familiari che il sistema di welfare tutela meno dal rischio di povertà sono i giovani che vivono da soli o in coppia senza figli e, inoltre, i monogenitori e le coppie con figli minori.

Più in generale, nel 2016, sulla base delle stime del modello di microsimulazione dell'Istat l'intervento pubblico, realizzato attraverso l'imposizione fiscale e contributiva ed i trasferimenti monetari, ha determinato una riduzione della diseguaglianza di 15,1 punti percentuali dell'indice di Gini: da un valore di 45,2 punti misurato sul reddito primario a uno di 30,1 in termini di reddito disponibile. Le pensioni e gli altri trasferimenti pubblici hanno avuto un impatto redistributivo di 10,8 punti, maggiore rispetto a quello determinato dal prelievo di contributi sociali e imposte (4,3 punti).

Secondo l’Istat, l'intervento pubblico migliora la posizione del 56,6% degli individui con redditi familiari di mercato nulli o molto bassi, appartenenti al quinto più povero della popolazione. Al crescere del reddito di mercato diminuisce l'importanza dei trasferimenti e aumenta quella del prelievo, determinando peggioramenti che non riguardano soltanto individui in famiglie con redditi di mercato elevati, ma anche il 49,6% di chi ha redditi medio-bassi.

Le pensioni previdenziali (invalidità, vecchiaia, superstiti) costituiscono la principale misura redistributiva. L'importanza degli altri trasferimenti (pensioni assistenziali, CIG, sussidi di disoccupazione, assegni familiari, ecc.) decresce all'aumentare del reddito familiare.

La progressività dell'Irpef rispetto al reddito familiare è determinata soprattutto dalle detrazioni d'imposta. L'aliquota effettiva lorda, prima delle detrazioni, ha un profilo moderatamente progressivo e si stabilizza attorno al 14% per i redditi familiari superiori ai 24 mila euro. Dopo le detrazioni, la progressività è più marcata: l'aliquota effettiva netta aumenta di 8 punti percentuali fra i 12 mila e gli 80 mila euro. La progressività dell'imposta netta risulta più pronunciata per i redditi familiari medio-bassi, dai 20 ai 40 mila euro, che per quelli dai 40 ai 60 mila euro.

Infine il fisco. Per l’Istat il sistema di tasse e benefici, associato a bassi livelli di reddito familiare, determina per le fasce più giovani della popolazione un aumento del rischio di povertà: dopo i trasferimenti e il prelievo il rischio di povertà aumenta dal 19,7 al 25,3% per i giovani nella fascia dai 15 ai 24 anni di età e dal 17,9 al 20,2% per quelli dai 25 ai 34 anni .

Le principali politiche redistributive del periodo 2014-2016 (bonus di 80 euro, aumento della quattordicesima per i pensionati e sostegno di inclusione attiva), hanno aumentato l'equità della distribuzione dei redditi disponibili nel 2016 (l'indice di Gini è passato dal 30,4 al 30,1) e ridotto il rischio di povertà (dal 19,2 al 18,4%).

( 21 giugno 2017 )

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