L’Italia perde appeal. Colpa dei soliti problemi: che si chiamano burocrazia, giustizia civile, fisco. E colpa degli stop and go della politica e dell’alto livello di instabilità innescato dalla bocciatura del referendum costituzionale dello scorso dicembre. Secondo l’Aibe index, realizzato dal Censis per l’Associazione italiana della banche estere, il nostro Paese agli occhi degli investitori esteri perde attrattività in maniera molto considerevole. L’indice sintetico che misura l’appeal del sistema-Italia da un anno all’altro segna infatti un netto calo passando da un valore di 47,8 registrato l’anno scorso a 40,3 lungo. Sono 7 punti in meno. In pratica in un anno abbiamo bruciato il forte recupero che era stato accumulato rispetto al 2014 quando l’indice era pari a 33,2 punti.
L’indice è elaborato raccogliendo le opinioni di un consistente e autorevole panel composto da figure ai vertici di imprese multinazionali, banche e istituzioni finanziarie estere presenti in Italia e da corrispondenti di grandi testate giornalistiche straniere. E la sintesi che fa il Censis dei loro giudizi quest’anno è particolarmente deludente: se nel 2016 la quota di chi considerava più attrattiva l’Italia rispetto ai sei mesi precedenti la rilevazione era pari al 71,8%, oggi la percentuale si è più che dimezzata ed è scesa al 28%, mentre cresce la quota di chi non rileva grosse differenze rispetto al passato (40%) e di chi rimarca una minore attrattività (32%).
Il presidente dell’Aibe, Guido Rosa, parla così di «raffreddamento» delle aspettative nei confronti del sistema-Italia generato, spiega, da «una caduta di attese dopo l’esito del referendum costituzionale» e «dall’incerta prospettiva di recuperare una stabile e duratura governabilità che consenta di completare importanti riforme determinanti per una ripresa più robusta. La riforma della pubblica amministrazione, la semplificazione e certezza di una più efficace politica fiscale, la riforma della giustizia civile, ritornano al centro delle preoccupazioni degli investitori esteri». A suo parere, inoltre, «l’arretramento dell’indice di attrattività ha colto, oggettivamente, gli effetti, anche sul piano economico, di quegli stop and go cui la politica ha abituato da tempo sia l’opinione pubblica italiana, sia quella che ci vede da una prospettiva esterna al Paese.