L'economia italiana nel 2018 è cresciuta dello 0,9% in netto rallentamento rispetto al +1,6% del 2017. Lo comunica l'Istat che, in base ai dati più approfonditi, ha rivisto al ribasso la stima preliminare di un aumento del Pil pari all'1%. Il nuovo dato è inferiore alle previsioni del governo di fine dicembre, che indicavano per il 2018 una crescita dell'economia dell'1%.
“I dati dell’ Istat sul peggioramento del Pil e del debito pubblico nel 2018 sono un ulteriore segnale che stiamo scivolando verso le recessione. Non basta l’ottimismo del Governo. Serve un patto sociale ed una vera politica economica per la crescita ed il lavoro. La mobilitazione del sindacato proseguirà per questo obiettivo”. Lo scrive su twitter la segreteria generale della Cisl, Annamaria Furlan, commentando iproprio dati Istat che ha rivisto al ribasso la stima preliminare di un aumento del Pil pari all'1%.
Il debito pubblico italiano, salito al 132,1% del Pil nel 2018, è in percentuale al livello più alto mai raggiunto. Lo scorso anno, spiega l'Istat, è infatti stato superato anche il precedente picco del 2014 pari al 131,8%. In base ai dati di Bankitalia, il debito delle pubbliche amministrazioni nell'intero 2018 è aumentato in assoluto di 53,2 miliardi salendo a 2.316,7 miliardi.
Nel 2018 il rapporto tra deficit e Pil si è attestato in Italia al 2,1% in miglioramento rispetto al 2,4% del 2017 anno su cui avevano pesato anche gli effetti dei salvataggi delle banche in crisi. Le previsioni del governo indicavano a dicembre scorso un deficit per l'anno pari all'1,9% del Pil. Quello del 2018 è il livello più basso dal 2007, quando il deficit si attestò all'1,5% del Pil. Inoltre l'avanzo primario italiano (ovvero il deficit al netto della spesa per interessi) è migliorato, salendo all'1,6% del Pil ( nel 2017 il rapporto era pari all'1,4%).
Il peggioramento del Pil nel 2018 rispetto al 2017 (+0,9% contro +1,6%) è legato in gran parte al "netto ridimensionamento" del contributo della domanda interna e in particolare dei consumi. L'Istat evidenzia che la spesa delle famiglie residenti in Italia è cresciuta lo scorso anno dello 0,6% contro il +1,5% del 2017. A frenare è stato anche l'export, cresciuto dell'1,9% contro il +5,9% del 2017. In decelerazione infine anche gli investimenti, passati da un aumento del 4% nel 2017 al +3,4% del 2018.
Altro dato: a gennaio 2019 l'occupazione mostra, dopo la sostanziale stazionarietà di dicembre, un lieve aumento, trainato dalla crescita dei dipendenti permanenti. E' quanto rileva sempre l'Istat in base ai dati che mostrano nel primo mese dell'anno un aumento dell'occupazione dello 0,1% rispetto a dicembre 2018, pari a 21.000 unità in più. A crescere è appunto il lavoro stabile con 56.000 dipendenti fissi in più, mentre si osserva un calo dei dipendenti a termine (-16.000) e degli autonomi (-19.000). Il tasso di occupazione rimane stabile al 58,7%.
"A gennaio 2019 gli occupati continuano a mostrare nel complesso una crescita molto lieve, come risultato di un aumento consistente dei dipendenti a tempo indeterminato e di un calo dei dipendenti a termine e degli indipendenti. Ma il dato complessivo fa anche media tra una crescita degli uomini ed un calo tra le donne", ha dichiarato il segretario generale aggiunto della Cisl, Luigi Sbarra. "Si conferma quanto emerso anche dai dati Inps: il decreto dignità potrebbe aver assecondato o accelerato uno spostamento da contratti a termine e di somministrazione a contratti a tempo indeterminato che era già in corso da inizio 2018, grazie alla ripresa economica ed agli incentivi. Ma contemporaneamente le maggiori limitazioni sui contratti a termine sembrano avere assecondato, dalla seconda metà del 2018, la minore propensione ad assumere causata dal rallentamento dell’economia".
L'aumento dell'occupazione riguarda esclusivamente gli uomini. Il tasso di disoccupazione a gennaio è rimasto stabile al 10,5% ,lo stesso livello di dicembre. L'Istat sottolinea che tra i giovani il tasso sale invece di 0,3 punti percentuali rispetto a dicembre, al 33%. Si tratta di livelli lontani rispetto ai picchi della crisi, superiori al 43%, ma comunque superiori ai livelli precrisi di quasi 14 punti percentuali.