Venerdì 19 aprile 2024, ore 18:27

Global

Così le multinazionali sfruttano il lavoro a basso costo

di Manlio Masucci

Stipendi da fame e condizioni di lavoro insicure per i dipendenti, profitti record per le imprese. E' il sistema delle multinazionali che, attraverso il ricorso a catene di fornitura complesse e quasi del tutto inaccessibili, caratterizza sempre di più il mercato del lavoro internazionale. Una produzione eccessivamente frammentata e dislocata con un unico obiettivo: la ricerca del lavoro a basso costo rintracciabile laddove i diritti umani, e in particolare quelli sindacali, sono sistematicamente violati. Ed è proprio sulla sistematicità di questo modus operandi che l'Ituc, la Confederazione Internazionale dei Sindacati, punto il dito parlando apertamente di “scandalo”. Lo sfruttamento dei lavoratori e i conseguenti profitti da capogiro non sono infatti elementi caratteristici di un pugno di imprese multinazionali. Al contrario, l'ultimo rapporto dei sindacati internazionali dimostra come il sistema dello sfruttamento sia oramai endemico in tutto il complesso della produzione globale e quindi in grado di innescare una corsa al ribasso sui diritti e di influenzare pesantemente e negativamente il mercato del lavoro globale.

La denuncia dell'Ituc fa riferimento a un fenomeno dalle proporzioni notevolissime, come confermano gli ultimi dati dell'Ilo. Secondo l'Organizzazione Internazionale del Lavoro, sono circa 450 milioni i lavoratori impiegati nelle catene globali di fornitura, una persona su cinque ovvero il 20,6% dell'impiego nel mondo. Il giro d'affari che si cela dietro questo sistema di produzione presenta, a sua volta, numeri da capogiro. Secondo l'agenzia delle Nazioni Unite Unctad, le catene di fornitura rappresentano il 60% del commercio globale, stimabile in oltre venti trilioni di dollari.

In questo contesto, l'Ituc sottolinea come i lavoratori che contribuiscono ai giganteschi profitti delle multinazionali siano praticamente invisibili, come dimostrano le investigazioni condotte nei confronti di 50 imprese che impiegano direttamente solo il 6% della loro forza lavoro. Il restante 94% si cela nei fitti ingranaggi delle catene di fornitura globali dove, nella maggior parte dei casi, i lavoratori non godono dei diritti fondamentali e sono condannati a un impiego mal retribuito e pericoloso. Il rapporto dell'Ituc, rileva come la fortuna di 50 compagnie, quantificabile in 3,4 trilioni di dollari in profitti, si basi su una forza lavoro occulta composta da non meno di 116 milioni di persone.

Un modello di business non sostenibile, secondo i sindacati internazionali, basato sullo sfruttamento e sulla violazione dei diritti umani. Il nulla osta concesso alle multinazionali e l'assenza di controlli alimentano inoltre una serie di comportamenti irresponsabili che hanno ripercussioni notevoli anche a livello ambientale: “I profitti sono generati – ha sottolineato Sharan Burrow, segretario generale dell'Ituc - da salari bassi che non permettono alle persone di vivere dignitosamente e ne mettono a rischio la sicurezza con conseguenti infortuni sul lavoro e decessi inaccettabili; questi profitti sono ulteriormente alimentati dall'evasione fiscale o tragicamente legati all'inquinamento del territorio e dell'acqua”.

Per fermare lo “scandalo” delle catene di fornitura, l'Ituc ha elaborato una lista di cinque raccomandazioni indirizzate alle compagnie multinazionali. In primo luogo la trasparenza, con l'invito a rendere pubblici i contratti siglati con i fornitori. Secondariamente i sindacati internazionali chiedono una stretta sulle misure di salute e sicurezza con il coinvolgimento attivo degli stessi lavoratori in comitati di sicurezza e ispezioni regolari in grado di riconoscere e risolvere i problemi. A fianco di questi primi interventi, sarà necessario porre un freno al sistema dei contratti a breve scadenza e adeguare i salari al costo della vita per garantire un'esistenza dignitosa ai dipendenti.

L'ultima raccomandazione, ma forse la prima in ordine di importanza, è quella relativa al riconoscimento dei diritti di libera associazione e di contrattazione collettiva, base essenziale per la risoluzione delle criticità evidenziate e per l'allineamento progressivo dei fornitori agli standard internazionali del lavoro. Gli accordi quadro globali, stipulati fra i sindacati globali di categoria e le imprese, rappresentano, secondo l'analisi dell'Ituc, uno strumento importante per la risoluzione dei problemi ma, sottolinea ancora la Burrow, la “strada da percorrere è ancora lunga”. In vista del Forum economico mondiale di Davos, l'Ituc lancia infine un appello anche ai governi dei paesi coinvolti per l'estensione della protezione sociale, per l'applicazione corretta delle leggi e dei principi delle Nazioni Unite per il business e i diritti umani.

( 18 gennaio 2016 )

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