Il Labour ha un problema, si chiama sindacato. Sbaglia chi dà per scontato il sostegno delle organizzazioni del lavoro britanniche alla causa pro Ue nel referendum di giugno. Il partito che fu di Tony Blair e Gordon Brown si ritrova a fare i conti con i mal di pancia del secondo sindacato più rappresentativo del Regno Unito. I vertici di Unison, infatti, non solo sembrano freddini sul sì all’Unione europea, ma nei giorni scorsi hanno addirittura affermato che potrebbero incoraggiare i loro iscritti (circa 1,3 milioni di lavoratori del settore pubblico) a fare campagna per la Brexit. Quel che è certo è che non sosterranno apertamente, per ora, la campagna dei laburisti per tenere il Regno Unito nei 28, e che resteranno tra coloro che son sospesi fino agli ultimissimi giorni prima del voto. Un altro colpo pesantissimo per il principale partito d’opposizione, dilaniano da una guerra interna legata, e non solo, all’opportunità di uscire dall’Unione. Il neo segretario Jeremy Corbin, che soffre maledettamente la convivenza con Alan Johnson, leader del movimento pro Ue (In for Britain), che ha più volte mostrato insofferenza per questa Europa votata esclusivamente all’austerità, ha comunque accettato di non annacquare la campagna a favore dell’Unione all’interno del suo partito. Nonostante la tregua, Corbin ha tuttavia fatto sapere che il Labour non spenderà oltre la cifra stabilita, 4 milioni di sterline, per In for Britain, e che se mister Johnson avrà bisogno di ulteriori fondi dovrà cercarseli unicamente tra donatori privati e sindacati.
(Domani su ”Conquiste tabloid” l’articolo integrale di Pierpaolo Arzilla)