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In Cina l’iPhone vale più della vita degli operai

Dieci anni e non sentirli. O forse sì, considerando che le periodiche innovazioni annunciate dalla Apple hanno sempre corrisposto a parallele proteste e denunce rispetto alle condizioni di lavoro dei dipendenti dei fornitori asiatici, e in particolare della Foxconn.

La storia dell'iPhone è legata, oramai indissolubilmente, a quella della Foxconn, l'azienda di Taiwan maggiore produttrice di componenti elettronici al mondo. La multinazionale impiega oltre un milione di dipendenti in tre continenti (terzo datore di lavoro privato mondiale dopo Walmart e McDonald's) ma lo zoccolo duro della produzione è in Cina dove possiede 13 stabilimenti. Un recente reportage del Guardian ha svelato le condizioni di lavoro nello stabilimento di Longhua nei dintorni di Shenzhen, dove, secondo stime ufficiose, sarebbero impiegati circa 300 mila persone. E' proprio nella cittadella fortificata di Longhua che nacque uno dei primi scandali legati all'assemblaggio dell'iPhone: nel 2010, 18 lavoratori tentarono il suicidio e 14 di loro persero la vita. Le indiscrezioni provenienti dalla fabbrica, gestita con metodi militari, rappresentarono la prima, e non ultima, macchia sull'argentea patina che ricopre lo smartphone della Apple.

Le risposte delle aziende a quei suicidi furono, se possibile, ancora più raccapriccianti del fatto in sé. La Foxconn installò reti protettive anti salto nel vuoto e impose, contestualmente, ai lavoratori di firmare un documento in cui si impegnavano a non suicidarsi. Dal canto suo, Steve Jobs si limitò a commentare come i suicidi non eccedessero la media nazionale. Un commento tecnicamente del tutto corretto che ha però alimentato una percezione non del tutto innocua: quella per cui le pessime condizioni di lavoro, con tutte le relative conseguenze, rappresentassero la normalità in Cina. Non c'è allora da sorprendersi se, a sette anni di distanza, il Guardian non registra miglioramenti rilevanti: il regime militaresco persiste a Longhua e i lavoratori continuano ad essere sottoposti a stressanti turni di 12 ore lavorative quotidiane. La denuncia del Guardian è allora di quelle che lasciano il segno: “Non ci sarebbe una Foxconn senza morti, – nelle parole di un lavoratore intervistato – ogni anno le persone si suicidano ed è oramai una cosa normale”.

 

(Articolo completo di Manlio Masucci domani su Conquiste Tabloid) 

( 28 settembre 2017 )

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