Mercoledì 24 aprile 2024, ore 10:48

Europa

Juncker: il patto di stabilità non è patto di flessibilità

di Ester Crea

Jean Claude Juncker fa il punto sullo stato di salute dell’Europa e alla Plenaria di strasburgo conferma che il paziente non sta per niente bene. “Un anno fa avevo detto che la situazione nell’Unione europea lasciava a desiderare, non c’era abbastanza Europa e non c’era abbastanza unione nella Ue. A un anno di distanza questa constatazione in Europa resta. La Ue non è un gran forma. Sono cambiate tante cose. Possiamo parlare di crisi esistenziale”, ha esordito il presidente della Commissione europea, prima di passare a snocciolare le criticità ed i possibili rimedi. La disoccupazione “è ancora troppo alta”, “l’Europa non è abbastanza sociale, questo lo dobbiamo cambiare” quindi “lavoreremo al pilastro dei diritti sociali”. E se anche la situazione dei debiti resta alta, essi si sono ridotti e questo “dimostra che il Patto di stabilità ha il suo effetto, ma non deve diventare patto di flessibilità: deve diventare un patto applicato con flessibilità intelligente”. Tradotto: l’impianto non funziona, ma lo teniamo in piedi lo stesso con qualche spintarella qui e là. E i Governi devono collaborare: “Tenere un discorso europeista qui non è così difficile, ma tutti devono fare discorsi europeisti nei loro parlamenti nazionali. Dire sì con entusiasmo a Bruxelles e poi fare finta di non aver partecipato è il contrario di quello che definisco coerenza. Non dobbiamo più menare per il naso i cittadini europei. Li dobbiamo guardare negli occhi: sono stufi di lotte interne e menzogne. Si aspettano risultati e attuazione di quanto deciso”. Il che vale anche per la Brexit. “Noi rispettiamo e allo stesso tempo ci rammarichiamo della decisione del Regno Unito, ma la Ue in sè non è a rischio”. Per cui il presidente della Commissione sollecita Londra ad essere conseguente con la richiesta di lanciare l’articolo 50 “il prima possibile”. Quanto al futuro dell’Unione europea, Juncker propone “un programma positivo per i prossimi 12 mesi, che saranno decisivi, se vogliamo superare le divisioni tra est e ovest che si sono aperte in questi ultimi mesi. Li dobbiamo superare se vogliamo dimostrare al mondo che l’Europa esiste”. E metterci anche le risorse necessarie. Per il presidente della Commissione il piano di investimenti ha generato 150 miliardi nello scorso anno, ma ”dobbiamo fare di più”. Come? Juncker propone “di raddoppiare la durata e la capacità finanziaria” dell’Efsi affinchè “fornisca almeno 500 miliardi di euro entro il 2020 e 532 miliardi fino al 2022”. Investimenti da destinare, tra l’altro, alla banda larga. “Oggi l’economia europea è diventata tecnologica e digitale. C’è dappertutto necessità di internet ad alta velocità. Dobbiamo investire nella connettività. Proponiamo una riforma del settore delle tlc. Vogliamo creare un nuovo quadro normativo che incoraggi gli investimenti in questo campo. Se gli europei investono in nuovi metodi e tecnologie si creano 1,3 mln di posti di lavoro in più. Per questo la Commissione propone un sistema 5G che possa essere produttivo ed efficace fino al 2025”. Basterà a ridare fiducia ad una generazione di giovani europei che oggi più che mai si sentono derubati del loro futuro? Juncker promette, prova a scuotere. Ma non convince. “Non accetterò che i ’millennials’ possano essere la prima generazione in 70 anni ad essere più povera dei propri genitori”, dice. “So che è una questione di competenza degli Stati, ma possiamo aiutare, ad esempio con la garanzia giovani”. Appunto. Ma se - come ribadito dallo stesso Juncker - l’impianto del patto di stabilità così com’è sta bene, per alcuni Paesi (tra cui il nostro) serve un bello sforzo di fantasia. E questo senza contare l’impegno aggiuntivo richiesto su alcuni fronti caldi. A partire dall’emergenza migranti, strettamente connessa alla politica estera e ad una politica di difesa che o è comune o non è, come ampiamente dimostrato dalla guerra in Libia in poi. “La difesa attuale costa fra 20 e 100 miliardi l’anno in Europa. Dovremmo garantire la solidità della difesa europea. Abbiamo un’industria europea della difesa che deve dare prova di innovazione. Proporremo entro l’anno un fondo europeo per la ricerca e l’innovazione” nell’industria della difesa, assicura il presidente dell’esecutivo Ue, sottolineando che è prevista nella difesa una “cooperazione strutturata permanente: è arrivato il momento” di metterla in atto. ”Un’Europa protettrice è un’Europa che si difende”, ha aggiunto Juncker. “E dobbiamo difenderci soprattutto contro il terrorismo, questa è la priorità assoluta”, ha sottolineato, ricordando gli attacchi subiti nel 2015 e 2016. “Dobbiamo mostrare ai terroristi che non hanno alcuna possibilità di colpire i nostri valori. La nostra tolleranza non può andare a scapito della nostra sicurezza”. Per questo entro novembre la Commissione proporrà un sistema europeo di informazione sui viaggi: “Ogni volta che uno entra in Ue sarà registrato, luogo, data e motivo dello spostamento”, in modo che ”questo nuovo sistema automatico ci dirà chi è autorizzato a viaggiare in Ue, prima che arrivi in Ue”. Altolà anche alle pretese di Ankara. “Potrà esserci liberalizzazione dei visti con la Turchia solo quando la Turchia avrà rispettato tutti i requisiti. Ed io consiglio di procedere con una certa prudenza. Sono consapevole che abbiamo ancora molti problemi da risolvere, quindi ci vorrà del tempo e non sarà possibile rispettare i tempi previsti, anche alla luce della situazione del terrorismo è estremamente importante che la questione venga affrontata con la massima responsabilità”. Ma nel discorso di Juncker c’è posto posto anche per un plauso al lavoro di Mrs. Pesc. “Federica Mogherini, la nostra vicepresidente ed alto rappresentante per la politica estera, sta facendo un lavoro straordinario”, ha detto e può diventare “la vera ministra degli esteri dell’Unione europea”, per questo le chiedo di sviluppare una strategia europea per la Siria e deve avere un posto al tavolo sull’avvenire della Siria”. E, infine, la ricetta per proteggere i nostri confini senza costruire nuovi muri: un piano “ambizioso” di investimenti per l’Africa e i partner dell’Est che potrà mobilizzare 44 miliardi di euro, ma che potrà arrivare fino a 88 miliardi se gli Stati membri parteciperanno. “La logica è la stessa del piano di investimenti interno: useremo fondi pubblici come garanzia per attrarre investimenti pubblici e privati allo scopo di creare occupazione”, ha detto Juncker.

( 14 settembre 2016 )

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