Martedì 16 aprile 2024, ore 23:07

Bruxelles 

Recovery: Polonia e Ungheria non convincono ancora l’Ue 

Ancora non ci siamo. Infatti, la Commissione Ue sta cercando di ottenere "ulteriori chiarimenti" sui piani di ripresa e resilienza di Polonia e Ungheria "per garantire che tutti i criteri vengano rispettati". Lo ha detto in audizione al Parlamento europeo il vice presidente della Commissione europea, Valdis Dombrovskis, sottolineando che i criteri principali sotto la lente dei servizi Ue sono la lotta alla corruzione, la trasparenza e la qualità del processo legislativo. Parlando dei piani nazionali già presentati a Bruxelles, Dombrovskis prevede il via libera a quello della Repubblica Ceca e dell'Irlanda la prossima settimana, mentre all'appello mancano ancora Bulgaria e Paesi Bassi. Ma l’Europa guarda avanti. Dopo 16 anni di Angela Merkel, "i tedeschi possono avere un certo orgoglio: la cancelliera ha mostrato al mondo il volto di una Germania che ha espresso stabilità, moderazione, e di cercare soluzioni basate sul consenso. Ma la politica economica non è necessariamente fra i suoi successi".
Marcel Fratzscher, capo dell'istituto economico Diw traccia un bilancio articolato dell'era Merkel, parlando a Berlino ai giornalisti della stampa straniera del Vap, e non nega gli aspetti che lo hanno "deluso". La cancelliera "non ha fatto riforme, ha tratto vantaggio da quelle precedenti" di Schroeder, e ha fatto anche qualche errore. Ne cita due: il rifiuto di spingere sugli investimenti pubblici, e il ritardo con cui ha promosso la solidarietà in Europa. "Il Next generation è un suo grande merito, e probabilmente senza di lei non sarebbe stato possibile. Ma io avrei auspicato che arrivasse 10 anni fa". Ora il capo del Diw esorta a trovare delle "soluzioni permanenti". Gli eurobond? L'economista spiega di non essere contrario di principio. Ma per fare gli eurobond servirebbero anche molte altre cose. "Sono dunque un passo immaginabile in un lontano futuro". Adesso immagina invece "un fondo alimentato da una tassa europea, sull'energia, sul Co2 o anche altro, che possa essere usato per progetti comuni europei che contribuiscano a integrare economicamente l'Europa e creare una convergenza". Fratzscher ha detto di osservare con preoccupazione lo sviluppo degli ultimi 20 anni, che ha visto "una divergenza economica crescente, con la conseguenza di un divario e una divisione fra Nord e Sud, che non fanno bene neppure alla Germania".
L'economista è noto per dissentire anche da certi atteggiamenti poco europeisti del suo Paese: "Purtroppo sento ancora molte persone, anche nella politica, che vogliono meno Europa e meno integrazione. Politici che ritengono che l'Europa sia un problema più che una chance per la Germania. Che sollevano forti critiche al Recovery fund. Io sono convinto invece che il benessere della Germania dipenda dalla forza e dal successo dell'Europa". A poche settimane dalle elezioni che chiuderanno l'era Merkel, e alla luce del vantaggio conquistato dal vicecancelliere socialdemocratico Olaf Scholz, non si tira indietro quando gli si chiede una valutazione del ministro delle finanze in carica: Scholz a suo avviso ha fatto "davvero un buon lavoro" per contrastare la pandemia, investendo con ampiezza molte risorse "per evitare il peggio". "Questo è stato saggio, finora ha evitato che vi fosse un'ondata di fallimenti, ed è un suo merito". L’Europa intanto si interroga sulla opportunità di una difesa comune. Tante scomode verità ed il tentativo di rimediare. L'impotenza di fronte alla decisione Usa di lasciare l'Afghanistan; la frustrazione di non poter garantire la sicurezza e guadagnare così più tempo durante le evacuazioni all'aeroporto di Kabul; una marginalità ancora troppo marcata del blocco sullo scacchiere internazionale: tutte considerazioni con cui i ministri della Difesa Ue hanno dovuto fare i primi conti nell'incontro informale in Slovenia. Un'occasione consacrata non solo all'autocritica, ma anche alla volontà di un cambio di passo, di fare un salto di qualità nella capacità di difesa dell'Unione, verso una maggiore autonomia strategica dagli Stati Uniti, a partire dal progetto di una forza di reazione rapida. La base di partenza sono almeno 5 mila unità ben addestrate, ma che potrebbero salire fino a 20 mila, a seconda della piega che prenderanno le discussioni. L'unanimità sull'iniziativa, parte di un piano articolato per orientare la politica estera dell'Ue (la Bussola strategica), ancora non c'è. Pesa ad esempio l'esitazione di Paesi che, come i Baltici, si sentono legati a doppio filo con la Nato, e lo scetticismo di quelli dell'Est.

Rodolfo Ricci

( 3 settembre 2021 )

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