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Slovacchia, aumenti salariali record alla Volkswagen

Al termine di uno sciopero durato sei giorni - il maggiore che lo stabilimento slovacco della Volkswagen ricordi - sindacato e azienda hanno raggiunto un’intesa che assicurerà un incremento del 14,1% alle buste paga dei lavoratori. L’aumento sarà ripartito in tre tranches e andrà a regime entro novembre 2018. Un bel risultato, considerato che attualmente lo stipendio medio dello stabilimento di Bratislava VW (escluse le gratifiche del management) è di 1.800 euro, a fronte di salari medi che nel paese non arrivano a mille euro (980 per la precisione).

Lo sciopero, scattato martedì scorso, il più grande nella storia della Slovacchia e uno dei più grandi nel settore privato nella regione, ha avuto come conseguenza il blocco delle linee di produzione dei veicoli di gamma medio-alta VolksWagen Touareq e Audi Q7, causando “danni rilevanti alla produzione”, ha ammesso il presidente del CdA di VolksWagen Slovakia, Ralph Sacht.

La fabbrica di Bratislava ha prodotto l’anno scorso 389 mila vetture, dalle piccole auto da città Up!, Mii e Citigo dei tre marchi Volkswagen, Seat e Skoda, ai grandi Suv Audi Q7, Porsche Cayenne e VW Touareg. È qui che inizierà il prossimo anno la produzione della scocca del Suv Lamborghini Urus che sarà poi spedita in Italia per il montaggio.

A sostegno delle richieste sindacali si era schierato anche il primo ministro slovacco, Robert Fico: "Se sappiamo che nello stabilimento di Bratislava esiste la più alta produttività e la più alta qualità e vi si producono le auto più costose di tutta l'azienda, perché i lavoratori dovrebbero guadagnare un terzo dello stipendio dei loro colleghi (tedeschi) che lavorano per la stessa azienda?", aveva dichiarato il premier ad una stazione radio locale sabato scorso.

I livelli salariali sono un tema sempre più discusso nell’Europa centrale. Tra gli operai e dipendenti cresce il sentimento che le imprese occidentali paghino poco una forza lavoro con prestazioni, che ormai sono in alcuni settori simili se non superiori a quelli dei Paesi occidentali. C’è un forte sentimento che le imprese occidentali considerino i lavoratori del centro-est Europa dei parenti poveri da pagare poco. E non si tratta solo di paghe come mostra l’affaire sugli doppi standard alimentari con cibi di minor qualità venduti a est del Danubio. Un senso di forte disincanto verso l’Occidente passa non solo tramite la questione delle quote dei rifugiati ma anche (o soprattutto) tramite i portafogli e le borse della spesa.

(Approfondimento domani su Conquiste Tabloid)

( 26 giugno 2017 )

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