La nuova frontiera di Donald Trump sono lavatrici e pannelli solari: il presidente Usa ha imposto dazi del 30% sull 'importazione, causando la reazione di Pechino, dei colossi Samsung e Lg e inducendo la Corea del Sud - patria dei più importanti produttori del settore - ad annunciare un ricorso all'Organizzazione Mondiale del Commercio.
l presidente americano Donald Trump impone dazi del 30% sulle importazioni di pannelli solari negli Stati Uniti. Dazi in arrivo anche per le lavatrici. Protestano Cina e Corea del Sud la quale annuncia il ricorso al Wto.
La decisione di Trump prende le mosse dalle raccomandazioni della Us International Trade Commission, secondo la quale l'aumento delle importazioni di pannelli solari e lavatrici danneggiano i produttori nazionali. Si tratta di una decisione "eccessiva che apparentemente costituisce una violazione delle disposizioni del Wto", ha detto il ministro del Commercio di Seul Kim Hyun-chong, Critiche anche da Pechino: per Wang Hejun, a capo dell'Ufficio indagini commerciali del ministero del Commercio cinese, è "un abuso dei rimedi commerciali".
In particolare, a sollecitare l'imposizione di tariffe, Suniva e SolarWorld Usa, produttori di celle e moduli fotovoltaici andati in bancarotta, secondo i quali che i sulle importazioni cinesi spingerebbero la produzione a stelle e strisce con la creazione di 100.000 nuovi posti di lavoro. Ma si tratta di una posizione contestata anche in America. La Solar Energy Industries Association - associazione statunitense dell'industria del solare, che rappresenta un business da 28 miliardi di dollari e che importa dall'estero l'80% dei pannelli installati - ha rilevato, a nome di produttori, installatori e di tutto l'indotto, che le nuove tariffe "creeranno una crisi in un settore dell'economia che è stato trainante" e ha avvertito che a rischio ci sono 23 mila posti di lavoro.
In questa prospettiva, Trump ha nei mesi scorsi ventilato la fuoriuscita degli Stati Uniti dalla Wtoe definito il Nafta il peggior trattato commerciale della storia.
Pertanto propone di rinegoziarlo, seppellire gli accordi multilaterali e, in futuro, tornare a quelli bilaterali con i singoli Paesi; nonché di punire con tasse e barriere tariffarie la “scorretta” competizione commerciale di Pechino, la cui espansione ha creato, secondo lui, "il più grande furto di lavoro della storia".
Eppure queste affermazioni, così come la messa in discussione dei principi di solidarietà nell’ambito della Nato, che scaturiscono dalla crisi dell’egemonia statunitense e sono in contrasto con l’epicentro della politica estera americana post-1945, hanno un significativo precedente nei discorsi di Richard Nixon. Nel 1968, in una fase drammatica della storia degli Stati Uniti fra proteste di massa contro la guerra in Vietnam e la ribellione degli afro-americani, Nixon vinse le elezioni presidenziali promettendo stabilità, ordine e disimpegno al posto di interventismo, trasformazione e sacrifici. Con Henry Kissinger, il suo consigliere per la sicurezza nazionale, ebbe successo appellandosi ai cittadini, disorientati e preoccupati dal declino americano, con una retorica antitetica a quella ottimistica, universalistica e modernizzatrice del ventennio precedente e della “nuova frontiera” di John Kennedy.