Mentre l’iter delegato della riforma Madia si appresta alla pausa estiva, insiste un nodo, da sempre aggrovigliato e che non accenna a sciogliersi: lo storico precariato dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss). Una lunga storia che arriva proprio all’articolo 13 della legge delega, il quale interviene a riforma dei 20 Enti pubblici di ricerca italiani. Che in Istituti di tal fatta gli incarichi siano a progetto e a termine è prassi; singolare, invece, nell’Iss. I fondi pubblici man mano scheletriti hanno, infatti, costretto l’ente alla disperata corsa a “fondi esterni che non costituiscono mere commesse con termini definiti, ma progetti di lunga durata che spesso si succedono nel tempo e sono legati allo stesso filone di ricerca. Tali progetti costituiscono di fatto implementazioni delle attività istituzionali”. Questo si legge nel Documento del 2008 firmato dai Direttori Generali degli Enti pubblici di Ricerca. Ciò dimostra come già da allora l’usuale temporaneità degli incarichi nell’Iss sia divenuta un sistematico “scarico a perdere” di precariato strutturale ed addizionale. Nel 2014 arrivava il boomerang della condanna pronunciata dalla Corte di Giustizia europea. La reiterazione di contratti a termine e borse di studio in assenza di procedure trasparenti è stata imputata come violazione della direttiva comunitaria 70/99 e abuso in danno ai lavoratori non giustificabile a mezzo di motivazioni di bilancio. L’atto di sindacato ispettivo pubblicato in Senato nel 2015 al n. 2-00264 parlava, poi, di circa 30 licenziamenti di precari, storici ricercatori con un’anzianità di servizio tra gli 8 ed i 15 anni. L’Istituto Superiore di Sanità, alla cannula del gas, insomma. E ancora oggi, dopo che la Ragioneria di Stato ha bocciato la bozza di decreto per motivi di cassa, merito e abuso di delega, la questio dell’annoso precariato dell’Iss, invece che trovare composizione, si carica di tinte più forti.