La tanto vituperata scuola pubblica italiana funziona. O almeno, funziona meglio di quelle di altri 40 Paesi Ocse. In particolare, ciò in cui il nostro sistema eccelle è la capacità di ridurre le differenze tra studenti abbienti e meno abbienti uscendo dalla scuola le differenze si accentuano. Usciti dalla scuola, invece, e questo accade anche negli altri Paesi, le differenze tornano a farsi sentire.
Lo scopo dell'indagine dell’Ocse è proprio quello di capire come varia il gap tra studenti svantaggiati e compagni più fortunati nel corso della vita, dopo il diploma, in termini di abilità in Letteratura e Matematica.
Nel corso dello studio, che si serve di un indice messo a punto dall’Organizzazione, è emerso che dopo il diploma le differenze di prestazione tra studenti avvantaggiati (con almeno un genitore laureato e con oltre 100 libri a casa) e studenti svantaggiati (con meno libri e genitori con un livello di istruzione più basso) crescono in tutti i Paesi oggetto dello studio, tranne che in Canada, Stati Uniti, Korea e Italia.
Dallo studio “emerge in modo abbastanza chiaro il fatto che, dato l’allungamento della vita lavorativa e della fine della sicurezza di percorsi lineari della vita lavorativa, le competenze e soprattutto lo sviluppo delle competenze lungo la propria vita siano importantissime”, spiega Francesca Borgonovi, che ha partecipato alla stesura del focus. “Tuttavia, il mondo del lavoro, la formazione professionale e l’università – conclude l’esperta Ocse – non sono in grado di alleviare le differenze tra classi sociali che emergono alla fine della scuola dell’obbligo anzi tendono a rinforzarle”.
Nel nostro Paese, invece, sembra che la scuola riesca a tenere abbastanza vicini i risultati degli studenti con opportunità di partenza molto diverse. La scuola italiana risulta quindi più inclusiva di quanto si pensi e riesce a supportare meglio i soggetti più “svantaggiati”.