Sono in stato di agitazione i lavoratori della storica azienda di Fermo, L’Autre Chose, specializzata in calzature femminili. Una decisione che si è resa necessaria per le incertezze in cui sono costretti a vivere i lavoratori e le lavoratrici. L’azienda, infatti, nei mesi scorsi “ha posticipato i pagamenti dei salari per diverse volte - fanno sapere i sindacati di categoria Femca Cisl Marche e Filctem Cgil Fermo - e solo dopo infinite minacce di mobilitazioni ha provveduto a onorare quanto dovuto”.
“Inoltre - continuano i sindacati - in questi anni non c’è stato nessun piano di risanamento e nell’ultimo anno non è stato messo in atto alcun rifinanziamento strutturale capace di rilanciare l’attività aziendale”. Le sigle sindacali sottolineano che dopo la cessione dell’azienda dalla famiglia Boccaccini al gruppo d’investimento Sator, la nuova amministrazione abbia intrapreso una gestione inadeguata che ha portato a diverse difficoltà. I lavoratori chiedono garanzie sulla continuità delle attività produttive e sul regolare pagamento dei salari e delle future tredicesime e un intervento urgente della proprietà per sbloccare la situazione di stallo e di fermo produttivo dovuti alla mancanza di liquidità.
Una situazione importante quella che stanno affrontando i lavoratori dell’azienda L’Autre Chose che si accomuna a moltissime realtà del territorio e di tutta la regione in particolare nel settore del calzaturiero, ma non solo.
“La cassa integrazione per covid è stata chiesta dall’80% delle aziende del territorio - spiega Piero Francia, segretario generale Femca Cisl Marche -. Per il settore della moda, avere avuto la proroga fino al 31 dicembre e il blocco dei licenziamenti fino al termine dell’anno è fondamentale. Questo è un territorio a doppia velocità: gli artigiani faticano mentre i grandi, come ad esempio Fendi, arrivano e lavorano. Ma oggi rischiamo di lasciare nell’invisibile centinaia di lavoratori come coloro che sono in cassa integrazione a zero ore da inizio pandemia”.
Difficoltà concrete anche se si cerca di ripartire con i tanti bandi che mirano al rilancio del lavoro ma - a detta del sindacato - il settore calzaturiero non attira più i giovani. “Dobbiamo rilanciare il settore con un grande patto tra lavoratori e organizzazioni datoriali - afferma Francia -. Per questo servono esempi come quello del cappellificio Sorbatti di Montappone, dove la Femca ha appena firmato un patto sulla formazione per nuove competenze, aderendo al fondo nazionale, che riguarda i 40 dipendenti”.
Da circa dieci mesi i vertici della Femca hanno scritto alla Regione chiedendo un tavolo di intervento per il monitoraggio delle filiere produttive e la convocazione del tavolo della moda. Ma ancora nulla. “È importante oggi dare un senso a quello che abbiamo: penso a realtà come Tod’s, Prada e NeroGiardini. Con Prada c’è l’accordo integrativo, con Tod’s confronto continuo, con NeroGiardini a disposizione per soluzioni condivise che salvaguardino il lavoro, insomma molte eccellenze nella nostra filiera ma senza regole chiare”.
Sara Martano