Stato di agitazione per i lavoratori precari della sanità nel Lazio causa il mancato accordo per la stabilizzazione. "Al posto di quello che doveva essere un accordo di prospettiva per dare certezza ai 3.500 precari assunti nei mesi scorsi per far fronte alla pandemia - denunciano Giancarlo Cenciarelli, Roberto Chierchia e Sandro Bernardini - segretari generali di Fp Cgil Roma e Lazio, Cisl Fp Lazio e Uil Fpl Roma e Lazio - dalla Regione Lazio è arrivato un atto unilaterale che non dà un vero futuro agli operatori e tanto meno alla domanda di sicurezza e salute dei cittadini". La Direzione regionale Salute ha disposto la mini-proroga dei contratti a tempo (solo fino a dicembre 2021), mandando in fumo due mesi di trattativa. "Avevamo chiesto una programmazione seria e di lungo periodo, su personale e organizzazione, attraverso la verifica dei fabbisogni reali di un sistema già sovraccarico, che altrimenti non può reggere la pressione dell’emergenza e della campagna vaccinale. Per questo avevamo avviato un confronto per arrivare ad un accordo politico che definisse un percorso di stabilizzazione per i lavoratori precari, prevedendo delle proroghe sostanziali dei contratti e un vero piano straordinario di assunzioni", sottolineano i segretari regionali di categoria. "Alcune aziende già si erano mosse portando il termine dei contratti anche oltre l’anno in corso, vista l’assoluta necessità di colmare le lacune negli organici e nelle esigenze assistenziali lasciati da 10 anni di commissariamento. Un anno a combattere il Covid nei reparti e nelle strutture per poi vedersi negare qualunque certezza - stigmatizzano Cenciarelli, Chierchia e Bernardini. Le attività di cura e assistenza si reggono solo sull’impegno straordinario di organici ridotti all’osso. Il sistema sanitario del Lazio finirà per andare incontro al collasso o per lasciare ulteriore spazio ai grandi gruppi che operano nella sanità privata". "Spaventa che la Regione abdichi ad ogni funzione programmatoria e si affidi al piccolo cabotaggio. Tanto che ancora non è stata nemmeno completata la ricognizione dei fabbisogni di personale nelle aziende ospedaliere e sanitarie. La nostra stima di 10mila unità mancanti potrebbe essere rivista al rialzo, considerati anche i tanti pensionamenti che si prevedono per l’anno in corso - proseguono i sindacalisti". A questo si somma l’inerzia della Regione sulla questione dei fondi contrattuali destinati a remunerare il gigantesco sforzo dei lavoratori. Le vicende del San Giovanni e del Sant’Andrea sono un esempio chiaro del paradosso della sanità laziale: i carichi di lavoro aumentano, i turni si moltiplicano e la retribuzione scende. "Inconcepibile. Bisogna riparametrare le risorse al personale realmente in servizio, valorizzare il lavoro e le competenze, dare riconoscimento a chi si è sacrificato per l’intera collettività. In questo senso è una vergogna non aver ancora onorato l’impegno a corrispondere il cosiddetto premio Covid, previsto da un accordo datato novembre 2020. Senza dimenticare che non si è ancora provveduto a immunizzare tutto il personale: un operatore amministrativo del Cup ha perso la vita in questi giorni - concludono - proprio perché la Regione non ha inserito gli amministrativi fra le categorie prioritarie per il vaccino".
Cecilia Augella