Il 25 novembre richiama ogni anno alla responsabilità di guardare una verità senza veli: la violenza contro le donne continua a essere una ferita aperta nel corpo sociale del Paese. Gli ultimi dati Eures – diffusi proprio in queste ore – confermano la gravità del fenomeno: 85 donne uccise nei primi dieci mesi del 2025, una ogni tre giorni o poco più. L’incidenza sugli assassinii resta altissima: più di un omicidio su tre riguarda aspetti riconducibili a questioni di genere. Un dato che scuote e interpella tutti. La violenza continua a consumarsi soprattutto nell’ambi to della famiglia e della coppia, che rappresentano il contesto più a rischio nel 92,9% dei casi. Ben 56 donne sono state uccise dal partner o ex partner. Sono numeri che confermano una verità drammatica: la piaga è un fenomeno strutturale, e si presenta con dinamiche ricorrenti e tutt'altro che imponderabili. Nel 30,9% dei femminicidi la vittima aveva già subìto maltrattamenti, e nel 25% minacce. Un fenomeno “visibile” ma ancora troppo poco percepito dalle istituzioni e da loro contrastato.
Di fronte a tutto questo, dobbiamo tornare a un concetto decisivo: l’autonomia economica è la prima forma di protezione. Un lavoro stabile, dignitoso, ben retribuito permette alle donne di essere libere di scegliere e di interrompere relazioni violente. Ma l’I talia resta ancora lontana dagli standard europei: occupazione femminile intorno al 52%, forte precarietà, carichi di cura pesantemente sbilanciati.
Ma dove il lavoro manca, la libertà arretra, e anche i luoghi di lavoro non sono sempre luoghi sicuri. Troppe donne subiscono molestie, ricatti, discriminazioni. Per questo, oltre alla repressione, la contrattazione è un pilastro imprescindibile: introduce codici di comportamento vincolanti, strumenti di prevenzione, tutele per chi denuncia, sostegni psicologici e sociali, percorsi di formazione per delegati e dirigenti. Ma soprattutto crea protagonismo femminile: più partecipazione, più qualità, più equità. Ogni accordo che migliora le condizioni delle lavoratrici è un passo avanti concreto contro la violenza.
Le complesse articolazioni culturali, economiche e sociali del fenomeno richiedono una grande alleanza sociale. La risposta deve unire istituzioni, sindacati, imprese, centri antiviolenza, servizi territoriali, parrocchie, reti civiche. Una trama ampia che ascolta, sostiene, accompagna. Un Paese più coeso è un Paese più sicuro per le donne.
Fondamentale è il contributo delle comunità educanti: la scuola, la famiglia, gli oratori, lo sport. È lì che si formano gli sguardi e le parole. Perché la violenza non nasce all’im provviso: cresce nelle disuguaglianze, negli stereotipi che confinano le donne in ruoli rigidi, nella normalizzazione di modelli distorti. Educare al rispetto e alla parità è il primo antidoto. Serve strutturare percorsi di educazione affettiva e civile che aiutino i ragazzi a riconoscere la violenza e a rifiutarla in tutte le sue forme.
Anche i media hanno un ruolo decisivo. Serve un linguaggio che non oggettifichi e sessualizzi il corpo femminile, che non banalizzi la violenza, che non la trasformi in spettacolo o cronaca morbosa. Le parole sono un atto culturale: possono alimentare stereotipi o possono abbatterli. Possono ferire oppure restituire dignità. Una comunicazione responsabile è parte integrante della prevenzione.
Oggi, di fronte agli 85 nomi che hanno perso da gennaio la vita, non possiamo limitarci all’indignazione. Serve un impegno comune, quotidiano, strutturale. Solo un’alleanza forte, fondata su lavoro dignitoso, valorizzazione e protagonismo della contrattazione, educazione sentimentale, prevenzione, linguaggio rispettoso, può spezzare la catena del sopruso, fisico e non. Una donna è davvero libera quando può lavorare, scegliere, partecipare alle scelte della propria azienda e della propria comunità. E un Paese che include nel lavoro e rende protagoniste le donne è anche un Paese che crede di più. Questa è la strada che dobbiamo percorrere. Non per lavare le coscienze una volta l'anno, ma per costruire davvero, insieme, una società più giusta.
Daniela Fumarola
Segretaria Generale Cisl

