Ci lascia a 86 anni Frederick Forsyth. Con lui se ne va il capofila degli autori inglesi di spionaggio e intrigo internazionale che all’inizio degli anni ‘70 rinnovarono e insieme diedero continuità a una tradizione narrativa che risale ai primi anni del XX secolo e annovera, fra gli altri John Buchan, Erskine Calders e William Le Queux.
Tutte le vite sono un romanzo, ma alcune più di altre. Quella di Forsyth ha infuso verosimiglianza alle sue trame, che costituiscono l’epopea della geopolitica contemporanea, perché fu di per sé un uomo d’azione prima di passare ai romanzi. Scrisse nella sua autobiografia, L’Outsider: «Nel corso della mia esistenza sono sfuggito per un pelo alla collera di un trafficante d’armi di Amburgo, sono stato mitragliato da un MiG durante la guerra civile nigeriana e sono atterrato in Guinea-Bissau durante un colpo di Stato. Sono stato arrestato dalla Stasi e ospitato dagli israeliani, l’IRA mi ha spinto a un rapido trasferimento dall’Irlanda all’Inghilterra, mentre un’affascinante agente della polizia segreta cecoslovacca… Be’, le sue azioni sono state un po’ più intime. E questo è solo l’inizio».
Infatti, il meglio dell’esistenza di Forsyth venne dopo, più avvincente dei suoi capolavori. Ebbe frequentazioni con la vera intelligence, ben lontana dal binomio kiss kiss bang bang, scaturito sull’onda del successo di 007. Dalla Berlino Est della Guerra Fredda, dove Forsyth accettò di fare una consegna per il Secret Intelligence Service di Londra, al Sudafrica di fine apartheid, che preoccupava per le sei testate atomiche possedute dal Paese, nel profilarsi del nuovo governo di Nelson Mandela. Imprese che lo scrittore compì già da veterano sul campo. Forsyth non sognava di fare lo scrittore, bensì il pilota di caccia. Nato nel 1938, serbava memorie infantili dell’eroismo con cui la RAF aveva battuto i tedeschi durante l’estate del 1940 nella mitica Battaglia d’Inghilterra. Gli Spitfire surclassavano i Messerschmitt e fallì l’Operazione Leone Marino, l’invasione delle isole britanniche.
Forsyth ottenne il brevetto dell’aeronautica militare, però a quel punto prevalse l’altra sua propensione, per i viaggi, soprattutto da corrispondente all’estero. Fu l’impulso della sua carriera nell’informazione. Dapprima in un piccolo giornale di provincia, l’Eastern Daily Press, del Norfolk, poi all’agenzia Reuters e quindi alla BBC. Lavorare per il colosso radiotelevisivo nazionale inglese fu per Forsyth il punto di svolta. Inviato in Africa a “coprire” la secessione del Biafra, fu conquistato dalla causa degli Ibo, divenendo amico personale del loro leader, Emeka Ojukwu. E qui si verifica uno cortocircuito per i lettori italiani. La presenza di Forsyth in Biafra è testimoniata da Goffredo Parise con le sue corrispondenze raccolte in Guerre politiche. Peccato che l’autore vicentino ne sbagli il cognome, trasformandolo in Forsyte, e ne tracci un ritratto da giovane intrigante e schierato per i ribelli di Ojukwu. Certo, Forsyth fu dalla parte dei biafrani con fervore, non per interessi reconditi. Detestava i maneggi dell’establishment britannico. Tanto da abbandonare la BBC, secondo lui troppo istituzionalizzata, fare per un po’ il freelance e infine cominciare a scrivere i libri che lo resero popolare. Bruciandosi la copertura quando ad Amburgo, nel corso delle ricerche per I mastini della guerra, un trafficante di armi riconobbe la sua faccia sulla copertina di un libro esposto. Fatale per l’ousider, l’individuo in disparte, «lo scrittore che vive metà della sua vita dentro la propria testa».
Questi tratti biografici confermano il pensiero forte insito nella letteratura avventurosa. Nessuno spazio vi è consentito al compromesso. I buoni e i cattivi vanno tutti fino in fondo, per preservare le rispettive identità. Le giustificazioni psicologiche, o peggio sociologiche, ne sono rigorosamente bandite. L’avventura è un modo per aggiungere efficacia alla narrazione, renderla più avvincente e perfino più credibile. Quando una situazione, un’ipotesi, un’intera trama vengono spinte ai limiti estremi delle possibilità, oltre i confini della vita ordinaria, i risultati devono necessariamente avere degli sviluppi sbalorditivi, o comunque diversi da tutto ciò che accade di solito.
Logico che sia il frutto di una cultura che si nega alla compiacenza delle opinioni tranquillizzanti in ogni epoca, all’obbligo di un realismo infarcito di banalità, al mito del buon selvaggio, nato nei salotti parigini dell’illuminismo, lontanissimi dai luoghi segnalati sulle mappe con la formula “Hic sunt leones”. Anzi, i paesaggi del pericolo costituiscono quasi sempre una componente indispensabile delle trame avventurose.
La densità di Forsyth come autore attraversò i confini della trivialliteratur, supponente definizione tedesca. La critica non tardò a riconoscergli un valore molto superiore a quello degli altri che affollavano gli scaffali dei best seller.