Lunedì 14 ottobre 2024, ore 14:34

Fumetti

Attacco a Tex

di ENZO VERRENGIA

Era inevitabile che anche Tex Willer finisse sotto attacco da parte del politicamente corretto. Le accuse mossegli, infatti, ripropongono temi ricorrenti nell’ottica contemporanea di analisi del passato. Quindi ecco il ranger più amato dagli italiani definito complice del genocidio che vide vittima la popolazione nativa dell’America settentrionale.

Peccato che si dimentichi o si ignori lo scenario eclatante di questa superba epopea. Tex è il capo dei Navajos con il nome di Aquila della Notte. Inoltre, il suo compito in gran parte delle avventure che lo vedono coinvolto è proprio quello di proteggere gli indiani da venditori di armi e “acqua di fuoco”, vigilare sull’applicazione dei trattati che tutelano le riserve delle varie tribù e fungere da intermediario fra le modalità originali del territorio e quelle dei nuovi arrivati.

Oltre 200 mila copie al mese: il Far West virtuale, tutto italiano, di Tex regge. La perdita del predominio cartaceo nell’industria dell’evasione non tange il ranger immarcescibile targato Bonelli. Tex Willer seguita a mantenere consensi fra lettori che cercano sulle sue tavole il ripetersi di uno schema d’azione che lascia integro l’eroe e pronto agli episodi successivi. Per quanto non sia dotato di ultrapoteri, gli si applica quello che Umberto Eco ha definito in Superman “un intreccio senza consumo”. Le esperienze oltre il limite delle comuni risorse umane non logorano il personaggio seriale. Nessun trauma ne condiziona, modifica o svilisce il carattere. Ogni volta Tex, come i suoi numerosi colleghi in bianco e nero o a colori, torna a regalare prodezze da seguire voltando freneticamente una pagina dopo l’altra.

La sua storia? Milano, capitale della produzione e della concretezza operativa. Il divorzio non è previsto per legge, solo la separazione legale. Tea Bertasi rompe il matrimonio con Gianluigi Bonelli e ne rileva la casa editrice, dal nome leggendario: Audace.

Andava benissimo nel ventennio appena conclusosi a piazzale Loreto, comunque regge anche fra le macerie della ricostruzione. Solo che si deve rinnovare il parco delle testate per ragazzi. Furio andava bene ai tempi dell’orbace, adesso occorre dell’altro. La Bertasi conosce il disegnatore Aurelio Galleppini, in arte Galep, e gli sollecita l’ideazione di una serie a fumetti inedita. Lui accetta e ne sforna due: Occhio Cupo per il formato albo e Tex Killer per i giornalini a strisce. La Bertasi fa un aggiustamento, Willer. Il cognome originario le pare troppo violento. Galep disegna i due cicli nel salotto di casa Bertasi. Alla fine di settembre del 1948 esce il primo numero di Tex con una tiratura di 50 mila copie. Il successo è immediato. Malgrado il formato “povero”, le sue vendite vanno meglio di quelle di Occhio Cupo. Tex potrebbe somigliare a Gary Cooper, mentre si scoprirà che Galleppini ha trasposto in china proprio se stesso. Quanto ai fondali western, mancava oltre mezzo secolo a Google Earth, eppure abbondavano gli atlanti illustrati. Se n’era servito Salgari. Galleppini ricorse ad una personale risorsa visiva. Le montagne dolomitiche, dove trascorreva le estati.

Gli bastava alternarle sulla pagina a distese brulle. Non espediente bensì sovrapposizione di due matrici emotive, una lontana e vagheggiata, l’al tra vicina e frequentata. L’ennesima forma di reinvenzione del West. A ciò si aggiunge il potere di costruzione narrativa di Gianluigi Bonelli, robusto scrittore di avventura prima che sceneggiatore di tavole, ed in questo per nulla tradito dal retroterra di testi privi di illustrazioni. Lui stesso si considerava “un romanziere prestato al fumetto Basterebbe rileggersi tre suoi libri usciti alla fine degli anni trenta, “Le tigri dell’Atlantico”, “I fratelli del silenzio” e “Il crociato nero”. Vi si trovano una vena d’azione ed un intreccio made in Italy che niente aveva da attingere al pulp americano di quell’era pretelevisiva. Tale da serbargli questa sua origine professionale anche dopo l’ascesa popolare di Tex. Nel 1953, la casa editrice pubblicò “Il massacro della Golena”, di Gianluigi Bonelli, corredato da illustrazioni in bianco e nero di Galep. Il romanzo poi tornò in allegato, come inserto-omaggio per festaggiare i primi sessant’anni di Tex. E stavolta c’erano disegni a colori di Aldo Di Gennaro.

L’alchimia irripetibile del personaggio, pertanto, sgorga dagli stessi autori, proprio secondo le indicazioni della filosofia ermetica, che voleva tutte le manipolazioni della materia vissute soprattutto su se stessi. In ciò si innesta la stilizzazione degli scenari americani ricalcati sulle vette trentine da parte di Galleppini. Lui non sentì il bisogno di andare a catturare il Far West nella sua dislocazione naturale, alla stessa stregua di Sergio Leone che girò “C’era una volta il West” nella Monument Valley di Wayne e Ford. Gli pareva, giustamente, più efficace ricercare quelle atmosfere in se stesso e in un modo che sapeva riconoscere al punto da poterlo trasfigurare.

Dietro le quinte di quel mito nascente, si aggirava il compianto Sergio Bonelli, figlio di Gianluigi, che poi avrebbe ricordato: «Ero un “ragazzo di bottega”, a quell’epoca, nella microscopica Casa editrice Audace diretta da mia madre Tea Bonelli, e, tra un impegno scolastico e una partita di calcio, mi ero assunto il compito di rispondere alle domande che i lettori ci facevano pervenire in grande numero. “Caro Tex…” cominciavano molto spesso così quei messaggi che, nella grafia incerta, rivelavano la giovanissima età e l’ingenuità dello scrivente, tanto profondamente convinto che, non certo a Milano, ma in qualche angolo dell’Arizona esistesse veramente un individuo vestito come Tom Mix…» Non mancarono i moralisti rosiconi. Per alcuni di loro Tex «sparava con troppa facilità, ammiccava a donne scollacciate e parlava con un linguaggio troppo colorito». In realtà, si trattava di un’opera cartacea dalle implicazioni dense e anticipatrici.

Decenni prima del western crepuscolare, di sinistra, le tavole di Galleppini mostravano l’es senza della Frontiera. Ne catturavano lo spirito immanente per gli americani, da cui si è partiti.

Perché Tex rimette a posto la storia della conquista del West senza bisogno di esagerare col politicamente corretto. I suoi indiani non sono né romanticamente improbabili, come nella cinematografia degli anni ’70, né manicheisticamente terribili come nei film della vecchia Hollywood. Semplicemente rispondono alle esigenze della saga.

Fedelissimi di Tex, capo bianco dei Navajos con il nom de plume di Aquila della Notte, o infidi abitanti di territori sconosciuti, che per i coloni sono una sfida in termini di intelligenza e risorse.

Tex, quindi, quale esempio di un genio inventivo che dall’Italia si può ascrivere all’Europa, che ha il pieno diritto di ricostruirsi in casa propria un’America scoperta e colonizzata. Ritrovando, col favore della distanza, la prospettiva ormai perduta dai cugini d’oltreoceano. Gli indiani non sono né cattivi né buoni selvaggi. Hanno cultura, tradizioni e diritti che i bianchi calpestano. Nel contempo, sanno sfoderare un’aggressività connaturata per la specie dei cacciatori.

Tex salta a cavallo, galoppa nelle praterie e tra i canyon, mena le mani, tende imboscate o se ne sottrae, spara, sa interpretare il linguaggio della natura, sottile ma privo di distorsioni. Nei suoi albi il fumetto compete alla pari e la spunta sull’arte del XX secolo, il cinema. Con gli inchiostri di Galleppini, è un mezzo di comunicazione e fruizione attivo, vitale, stimolante e rinfrancante. Occorre idearlo, scriverlo, realizzarlo al tratto con mesi di paziente lavorazione, distribuirlo nelle edicole e scendere di casa per andare ad acquistarlo. Poi, durante la lettura, riempire con l’intervento creativo della mente gli spazi espressivi che si affidano solo alle nuvolette, per i dialoghi, e alle onomatopee, per i rumori. E nessuno più di Tex si presta ad incarnare lo specifico di un linguaggio che pare vincolato quando invece è vasto, più della letteratura.

Proprio per questa specificità grafica, non andò benissimo il tentativo di riproporlo veramente in pellicola. Il film “Tex e il signore degli abissi”, diretto nel 1985 da Duccio Tessari, alla cui sceneggiatura partecipò lo stesso Bonelli, non resta negli annali delle versioni cinematografiche di personaggi a fumetti. Non lo salvò nemmeno l’inter pretazione di Giuliano Gemma, a sua volta carismatico cow-boy di fattura italiota. Anzi, il colore chimico delle immagini ne sminuì la presa. Le linee sintetiche delle vignette risultavano di gran lunga più avvincenti. Per non dire della colonna sonora e delle voci. Una sovrastruttura fonetica che toglieva appunto il piacere di sentire ciascuno da sé, per endofasia. i timbri e le tonalità delle nuvolette, gli scoppi di pistolettate e fucilate, quello che il fumetto suggerisce. È del 2011 l’autobiografia immaginaria di Tex Willer, scritta da Mauro Boselli, che dal 1994 cura i testi di Aquila della Notte. In “Il romanzo della mia vita”, l’autore compie la materializzazione del personaggio dall’ico nografia alla tipologia letteraria. E l’esperimento riesce meglio che al cinema. A riprova del fatto che Tex ha una consistenza tutt’altro che bidimensionale.

Gino e Michele negli anni caldi della contestazione cercavano una verniciatura politica per il personaggio: «Siamo perfino arrivati, per giustificarne la presenza sui nostri divani, a dire che lui, tra l’Arizona e il Colorado, sarà stato, sì, anche un poliziotto, ma di sinistra». Sergio Cofferati, con una vena di sincero e nostalgico autobiografismo, confessò: «Aquila della Notte ed io siamo coetanei, lui ha smesso di invecchiare mentre io mi trovo a essere passato dalla generazione di suo figlio Kit a quella di Carson, e la cosa non mi piace».

( 17 settembre 2024 )

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