Nel XVI secolo fa incursione in Europa una bevanda nera, dall’aroma intenso e capace di eccitare l’anima e il corpo di chi la sorseggiava. Era il caffè! La Chiesa ne ebbe paura e non tardò a vietarla, non poteva che venire dal diavolo quella ‘pozione’ che accendeva le frenesie di uomini e donne che peccavano ‘bevendo’. Furono i veneziani a introdurre in Italia il caffè dopo averlo assaggiato in Oriente dai Musulmani che lo consumavano nelle proprie cerimonie religiose. I nostri mercanti e nobili ne diventano subito dipendenti ma il clero continua la sua politica proibizionista, il chicco di caffè è il Male. Una leggenda racconta che fu però un Papa a benedire la nuova bevanda! Ippolito Aldobrandini che sale al soglio pontificio con il nome di Clemente VIII nel 1592 decide il futuro glorioso della caffeina. Il Papa deve pronunciarsi: il caffè può ‘accende re’ la vita di un cristiano senza comprometterne la salvezza?
Il verdetto è entusiastico, la bevanda nera e bollente è una tale delizia che non può essere concessa solo ai pagani. Così, decaduta per sempre l’interdi zione all’uso, il caffè si aggiunge alla cioccolata e ai liquori tra i piaceri dell’Occi dente. Il medico Pierre de la Roque, di ritorno a Marsiglia da Costantinopoli, introduce nel 1644 con sacchi colmi di chicchi da tostare “sul fuoco e poi da frantumare col mortaio” il nuovo aroma in Francia e il primo re a degustare la controversa bevanda è Luigi XIV nel 1664, l’immaginario parigino ne è irrimediabilmente sedotto. La prima sala da Caffè apre i battenti a Venezia nel 1683: in Italia come in Francia, in Inghilterra e in Austria la Letteratura, l’Arte e la Filosofia avanzeranno con il profumo del caffè! intellettuali, rivoluzionari discutono e scrivono le pagine più moderne e infuocate della Storia nei Caffè, locali sofisticati e inaccessibili ai più, frequentati da giocatori, donne civettuole, avventurieri, musicisti. Goethe protagonista autorevole del Grand Tour viaggia in Italia trascorrendo le sue giornate ispirate nei suoi Caffè: il Florian di Venezia e il Greco di Roma ebbero una clientela prestigiosa, Goldoni, Casanova, Rousseau, Byron scelsero la città lagunare, Schopenhauer, Liszt, Wagner, Twain, Bizet la città dei papi.
Trattati scientifici dichiarano le proprietà miracolose, le virtù medicinali della caffeina che incoraggia e supporta le capacità produttive di un mondo che dal XVIII secolo corre freneticamente verso il futuro e la produttività. Il commercio non conosce crisi: Amedi rica e penisola Arabica offrono all’Europa le migliori varietà e l’Ita lia sperimenta e crea caffettiere. A Napoli venne perfezionata dal francese Jean Louis Morize nel 1819 ma la prima veramente moderna nasce nel 1933 a Crusinallo, una frazione di Omega in Piemonte, sul lago d’Orta, ad inventarla è Alfonso Bialetti. Il romanzo Un sogno di polvere e acqua, storia della famiglia che ha inventato la moka (Mondadori, euro 19,00) ricostruisce con i ricordi di Tina, la più piccola dei Bialetti, l’epopea di un italiano che ha determinato con la sua visione e il suo lavoro il boom economico del nostro paese. Alfonso è il padre di una intuizione e dell’invenzione di questa macchinetta rivoluzionaria, icona del benessere che incalza, ‘regina’ delle nostre case ancora oggi e suo figlio Renato è l’imprendi tore ambizioso e vincente che, tornato da un campo di prigionia in Germania, rimette in moto la macchina della speranza costruendo una nuova fabbrica capace di produrre 18 mila caffettiere al giorno: l’o mino coi baffi, disegnato nel 1953, porta nel mondo il marchio di un successo patriottico. Come l’acqua e la polvere di caffè sono essenziali l’uno all’altro perchè si generi l’al chimia della bevanda che ha stregato l’Occidente, padre e figlio, le loro intelligenze complementari servono a un progetto che si fa strada e si impone decretando la fortuna economica e commerciale di un’Italia prima e dopo la Guerra ansiosa di riscatto e felicità. Nella storia della moka ci sono anche molte donne che dimostrano tenacia e danno equilibrio a una famiglia geniale il cui cognome, illuminato dai neon in ogni città da Milano, arriva lontano, a oggi. Chi scrive è commosso nel riavvolgere il nastro della memoria, grata per ogni sforzo speso da chi amava per un sogno che conserva preziosamente il profumo del caffè. Scrivere equivale per Celestina a ridare vita alle vite di un padre, un fratello, una madre straordinari e attraversati dalla bellezza, pronti a rivelare il talento di trasformare un’idea in uno dei più grandi successi industriali degli anni Quaranta e consegnare al nostro tempo un racconto antico che ci restituisce un paese onesto, laborioso, resistente.

