Dal 20 marzo al 29 giugno l’Arte di Strada invade il Museo delle Culture di Milano con la straordinaria mostra “Dal muralismo alla Street art. Mudec invasion”, una vera e propria site specific nata dal lavoro corale di dieci artisti/ e che hanno lavorato insieme, ininterrottamente, per per 14 giorni negli spazi del Mudec, trasformati in un grande atelier, per interpretare in base alla propria sensibilità e poetica, ognuno con il proprio linguaggio e stilema, il tema del viaggio. Un progetto insolito se si pensa che abitualmente i muralisti sono abituati a lavorare in spazi pubblici esterni, e non interni e privati, come gli spazi di un museo, ma questo non deve meravigliare se si pensa che Milano è la prima città italiana a ospitare un ufficio di arte pubblica con sede in un museo civico come è il MUDEC. La mostra offre al visitatore la possibilità di immergersi in dieci possibili viaggi immaginari, complementari ai viaggi proposti dalla mostra “Travelgue.
Storie di viaggi, migrazioni e diaspore”, presente contemporaneamente al Mudec per celebrare i dieci anni della sua fondazione. Il progetto è sicuramente coraggioso per il museo milanese, in quanto si tratta di un allestimento effimero che durerà solo tre mesi, perché poi i muri del Mudec torneranno alla loro originale funzione museale e i murales scompariranno per sempre. Ma in fondo il linguaggio del muralismo nelle nostre città è, per sua natura, effimero proprio perché la vita dei murales è sempre breve. Nella stessa Milano esiste un grande retaggio di muri il cui ciclo di vita non è infinito proprio per motivi legati alla loro conservazione. La mostra curata da Alice Cosmai, esperta di arte urbana e responsabile dell’Ufficio Arte nello Spazio Pubblico del Comune di Milano, con la collaborazione per la parte storica di Silvia Bignami, offre al pubblico un’occasione unica per confrontarsi con l’arte urbana in una collocazione insolita senza tuttavia modificarne la sua essenza, così come ha dato l’opportunità ai dieci artisti di cristallizzare le relazioni tra di loro, oltre che di fare un passo avanti nelle loro carriere facendosi conoscere al pubblico.
Il tema del viaggio è stato declinato dai muralisti in molti modi diversi, a partire dal “viaggio nel mondo dell’alfabeto” con uno tra i primi murales che il visitatore incontra all’ingresso dell’esposi zione, eseguito da Luca Barcellona, artista, calligrafo di livello internazionale, che presenta due opere inedite e in dialogo tra di loro “The stroke and the city” e “Indelebile”, attraverso i quali egli fa un’incursione nel mondo della calligrafia e delle sue infinite possibilità espressive, sottolineando il valore della stessa e il senso della differenza linguistica oggi superato grazie all’uso dell’AI; si passa quindi al “viaggio nel tempo” con l’o pera del francese Zoer, un pittore di murale che ci porta in un futuro dispotico immediato e drammatico basato sulle rovine nonostante l’uso di colori brillanti e coinvolgenti. Vi è poi “un viaggio nello spazio” dell’iro nica Capo.Bianco, artistica giovanissima, romana, autrice di muri ricchi di una grande forza dirompente ottenuta con un tratto geometrico assolutamente ipnotico, di grande valore sociale, tanto da essere stata insignita nel 2024 del titolo di Cavaliere della Repubblica Italiana per meriti sociali; si prosegue con il “viag gio metafisico tra la vita e la morte” presentato da Mazalt, muralista incisore messicano, inedito in Europa, incentrato sul valore simbolico della morte da cui nasce nuova vita; al suo fianco è posto l’intervento del writer Hitnes, artista romano della primissima ora che nella sua poetica parla del “viaggio degli animali” e quindi, con un tratto acquarellato, ci racconta il viaggio della farfalla monarca, il cui ciclo di vita si sviluppa in viaggio; Si torna poi alla realtà, sia pur fantasiosa e immaginaria, con il “viaggio di devozione” rappresentato da Neethi, con il suo tributo al Giubileo offerto con la raffigurazione della sua esperienza spirituale in India, attraverso una rappresentazione di un tempio Indu ricco di tutta la sua simbologia. Si prosegue quindi con il “viaggio dietro casa” attraverso il viaggio in una città impossibile, dalle capovolte strutture architettoniche, con l’artista scenografa spagnola Cinta Vidal, fino a giungere nell’ultima sala dove si incontra il murale di Aya Tarek, artista egiziano per la prima volta in Europa, che ci porta in contatto con il senso di colpa per quello che è il viaggio nell’epoca del neocapitalismo (rappresentato metaforicamente come un toro) invitandoci a pensare al viaggio in modo più sostenibile. La mostra prosegue con “Souve nir”, opera dell’artista argentina Agus Rucula, in cui ci ricorda con i suoi colori fluo quanto ognuno di noi porti con sé alla fine di un viaggio, per finire il percorso con l’opera “Intorno al tavolo II” di Mohammed L’Gha cham basata sul ricordo, la nostalgia, e sull’oblio, in cui a fare da medium è la fotografia.
Ogni murales è accompagnato da un pannello che inquadra l’ar tista e un video molto interessante che ci mostra la realizzazione dell’opera esposta. Seguono poi due sezioni dedicate alla città di Milano e al suo patrimonio di murales presentati attraverso un’infografica della città con 70 muri catalogati per distretto, per artista e per tecnica, elaborata insieme agli organi pubblici milanesi, una specie di mappa possibile dell’ arte murale delle città, con un invito aperto ai visitatori a segnalare i pezzi che eventualmente sono stati dimenticati, visto il ricco patrimonio cittadino di questa arte urbana.
Arricchisce la mostra una sezione storica allestita nell’a gorà curata da Silvia Bignami in cui si ripercorre la storia del muralismo del XX secolo attraverso una decina di momenti fondamentali, a partire dai tre grandi artisti messicani che hanno segnato la storia del muralismo degli anni Trenta (Diego Rivera, David Siqueiros e Josè Orozco), per poi soffermarsi su quelle che sono state le esperienze del 900 più significative di un linguaggio che troppe volte viene visto appartenere esclusivamente al presente facendoci dimenticare le sue radici storiche. Fin dal mondo antico infatti esistevano i lavori murali, nati ben prima ancora della comparsa della pittura sul cavalletto.
Non bisogna infatti dimenticare che le opere murali in passato avevano avuto un grande valore non solo decorativo ma iconografico e educativo, usati come strumenti per trasmettere la conoscenza agli uomini del tempo, basti pensare al valore degli affreschi nelle nostre città e nelle chiese. Quello a cui si è assistito nel Novecento è stata una loro migrazione dal mondo istituzionale (chiese, palazzi, centri del potere) al mondo della strada, e ciò in virtù del loro carattere popolare (il murale è infatti molto figurativo e senza pretese elitarie), dovendo passare dei messaggi spesso a persone poco colte. L’excursus storico cerca di presentare al pubblico dunque il passaggio dall’istituzione pura ai borghi caratterizzati dai murali, presenti in tutta Italia ed in Europa, dove il linguaggio diventa di tutti, dando vita ad un vero e proprio patrimonio iconico. Dal Messico attraverso l’A merica del New Deal si arriva all’Italia del Ventennio quando, sotto la dittatura, il muralismo aveva un ruolo artistico fondamentale tanto che persino i saloni della Triennale erano stati dipinti in occasione della sua quinta edizione da Sironi e dagli altri artisti incaricati dal regime.
Il muralismo era considerato infatti un’arte di sistema e tutti i pittori ci tenevano a praticarlo, non come accade ora che è considerata un’arte di serie b. Nel dopoguerra i muri si fanno più popolari nelle loro immagini, come si evince ad esempio nei muri di Orgosolo in Sardegna.
Contemporaneamente in America negli anni Settanta si diffondono i graffiti writer, cambiando anche tecniche e materiali, con l’introduzione delle bombolette a spray. La tendenza a dipingere liberamente senza committenze agevola la diffusione di questa nuova moda artistica. A scavalco tra questi due mondi ci sono Basquiat e Haring, che vivono sia gli ambienti delle gallerie come quelle dell’underground, iniziando anche loro a portare le loro firme negli spazi pubblici anticipando la Street Art. A concludere il percorso storico il grande murales di Pisa di Keith Haring, attivista affermato con un suo codice conosciuto in tutto il mondo, non uno street art, che dopo essere stato invitato da un turista a dipingere a Pisa, fa un murale sul muro della parrocchia della città toscana con il suo stile divertente ma pieno di dolore e sofferenza, espressione del suo stato d’animo poco prima di morire. La mostra, arricchita anche da un ricco palinsesto di incontri e approfondimenti, presenta dunque i murales con una cornice diversa, dando ad un’arte che oggi è quanto mai presente nel nostro mondo, la possibilità di essere valorizza e tenuta nella giusta considerazione.