Il Novecento, il secolo in cui doveva culminare una certa idea di modernità, progresso e libertà, ha rivelato tutti i limiti dell’impostazione illuministica di cui era costituito. Esso, del resto, ha conosciuto numerosi autori che ne hanno criticato un simile orientamento. Tra i molti, e forse anche curiosamente vista la loro provenienza, pensiamo ad alcuni pensatori americani – di nascita o di adozione, qui poco importa. Eric Voegelin, ad esempio, ha visto nella modernità un progetto gnostico. Un progetto, in sostanza, volto al rifacimento della natura umana: se i totalitarismi millenaristici ne sono stati l’estrema manifestazione, pure la dottrina liberale, carica di ideologia progressista, ne è profondamente impregnata. Un altro autore come Robert Nisbet, poi, ha insistito fortemente sul tema dell’autorità. A furia di tentare di consumare tale principio, si finisce giocoforza col distruggere le basi della libertà stessa: questa, diceva non a caso Edmund Burke, è incapace di autosostenersi se non ha solide basi di natura pre-liberale. Christopher Lasch, infine, si è occupato diffusamente del tema della famiglia. La sua crisi, a ben vedere, segnala una crisi ben più radicale: la crisi dell’uomo che non sa più chi è e dove trova le sue àncore vitali.
Il caso vuole che i testi qui considerati siano stati pubblicati praticamente in contemporanea: Dall’illuminismo alla rivoluzione di Voegelin e Twilight of Authority di Nisbet nel 1975, mentre Rifugio in un mondo senza cuore di Lasch due anni dopo. Pur muovendo da posizioni, sensibilità e biografie differenti, i tre sono accomunati da una preoccupazione: una certa idea di modernità e di uomo si rivela, a un occhio minimamente scettico di qualsiasi pulsione ideologica, estremamente pericolosa. Josè Ortega y Gasset ha colto nel segno quando ha scritto che la stessa idea di modernità rinvia a una critica radicale a tutto ciò che sa di tradizione, passato, sacertà: modernità è in tal senso «germe di illegittimità, di vita senza valori sacri». E come ha scritto uno dei più acuti e interessanti pensatori italiani del Novecento, Augusto Del Noce (1910-1989), il mondo contemporaneo è segnato indelebilmente dall’ «eclissi dell’idea di autorità».
L’anno appena trascorso può considerarsi a pieno titolo un anno delnociano, se non altro per la mole di ripubblicazioni di alcuni suoi fondamentali testi. Si pensi a L’epoca della secolarizzazione, opera del 1970 e arricchito nella nuova edizione uscita per Gangemi, per la cura di Giuseppe Buttà, da altri significativi saggi storici, politici e filosofici. Così come alla ripubblicazione dell’editore Il Mulino de Il problema dell’ateismo (1964) e, non meno importante, della voce Autorità redatta per l’Enciclopedia del Novecento della Treccani nel 1975, anch’essa meritoriamente resa nuovamente disponibile. A tutte ciò va aggiunto un testo cruciale per tutti coloro i quali intendano affrontare il complesso e vivace pensiero del filosofo nato a Pistoia ma torinese per formazione e cultura: Attraversare la modernità. Il pensiero inattuale di Augusto Del Noce, scritto da Luciano Lanna e prefato da Giacomo Marramao.
Pubblicato nella pregevole collana “Atene e Gerusalemme”, diretta da Sergio Belardinelli, Raimondo Cubeddu e Adriano Fabris, e ospitata dall’editore Cantagalli, il volume ripercorre le vicende intellettuali delnociane ponendo enfasi sulla dimensione propositiva dell’Autore. Anziché essere visto come un pensatore “anti”, schiacciato sul passato e su un’idea fossile di tradizione, che possiamo chiamare tradizionalismo, Del Noce vedeva nella Tradizione il principio sempre attivo di una società. Tradizione, scrive Lanna, «significa che, superiore all’uomo e guida della sua azione nel mondo, vi è una verità necessaria, eterna, fondamento dell’unità spirituale». Il che non condusse Del Noce a porsi tanto e solo in maniera ostativa rispetto a come la modernità si era svolta, quanto piuttosto a immaginare in chiave ucronica un’altra modernità. Si trattava, sottolinea Lanna, di immaginare un’alternativa faccia del prisma moderno. Se la storia rimane aperta alla libertà dell’uomo, e dunque non può essere rinchiusa entro vincoli meccanicistici, necessari e progressisti, essenziale era per Del Noce ripensare «un processo storico reversibile, contro cui è dunque possibile combattere». Una modernità che riscopra alcuni principi permanenti attraverso cui tramandare un’eredità alle generazioni a venire, a partire dall’idea stabile di persona umana.