Nel 1872, il filosofo Friedrich Nietzsche ultimò la prima versione della Nascita della Tragedia dallo spirito della musica, un'opera che avrebbe presto rivoluzionato gli studi classici. Nello stesso anno, il musicista Friedrich Nietzsche compose la Manfred-Meditation , una sonata per pianoforte a quattro mani, ispirata al dramma di George Byron e intesa come reazione al poema drammatico di Robert Schumann del 1848, dedicato al medesimo tema.
In Ecce Homo , pubblicato del 1888, il filosofo scrisse qualcosa in proposito: «Io devo avere una profonda affinità col Manfred di Byron tutti quegli abissi li ho trovati in me». E più avanti aggiunse: «per rabbia contro questo sassone dolciastro ho composto una contro-ouverture per il Manfred, della quale Hans von Bülow ebbe a dire che non aveva mai visto niente di simile su carta da musica e che era lo stupro di Euterpe». Qui Nietzsche si riferisce al fatto che, sempre nel 1872, aveva inviato al celebre compositore e direttore d’orchestra tedesco una copia della sua Manfred-Meditation. Questi non l’aveva accolta con grande favore, anzi gli aveva risposto senza peli sulla lingua, mostrando una chiara insofferenza: «È la cosa più estrema che abbia mai sentito in fatto di stranezza, l’o pera meno edificante possibile, lo scritto più anti-musicale che mi sia capitato di vedere. Mi sono chiesto se fosse uno scherzo. Intendevi fare una parodia della cosiddetta musica-del-futuro? Sei consapevole di avermi mandato un flusso assurdo che viola qualsiasi regola tonale, dalla sintassi alla semplice ortografia?». Una stroncatura senza possibilità di appello.
Nietzsche però non aveva preso male la critica, anzi tutt’altro: nella lettera di Bülow aveva rintracciato una descrizione veritiera – e fin troppo sincera – del suo rapporto con la musica, un rapporto che portava avanti sin dall’infanzia, giacché aveva iniziato a suonare il pianoforte ad appena nove anni. Il punto è che Nietzsche era solito comporre o improvvisare in modo istintivo, probabilmente senza prestare sufficiente attenzione alla grammatica della tecnica compositiva, perché per lui la musica era altro: era il linguaggio stesso del grund. Una concezione non dissimile da quella di Arthur Schopenhauer che, paradossalmente, era invece assai distante dalle idee dell’a mico Richard Wagner e più affine a quella dei primi poeti romantici, come Wilhelm Heinrich Wackenroder ed Ernst Theodor Amadeus Hoffmann. Quel sostrato panico cui attinge la musica assoluta, quell’urlo disarticolato del reale, senza alcuna mediazione del principio apollineo, Nietzsche lo conosceva anche troppo bene.
A ogni modo, il nostro aveva provato ad abbozzare una lettera di risposta a Von Bülow, anche se gliene inviò poi un’altra, in cui leggiamo sinistre parole profetiche: «grazie alla musica riesco a padroneggiare uno stato d'animo il quale, se rimanesse insaziato, sarebbe forse nocivo». Levando il “forse”, la musica ha dunque il suono dell’abisso, di quell’abisso dal quale Nietzsche si era sempre sentito attratto e che lo atterriva allo stesso tempo. Ecco che, tentando di padroneggiare il linguaggio del reale, riteneva di poter in qualche modo irretire la pulsione di morte, l'anelito che aveva condannato alla solitudine il Wanderer di Franz Schubert e che aveva precipitato l’Empedocle di Friedrich Hölderlin nell’Etna.
Nel pensiero filosofico di Nietzsche, già nella Nascita della Tragedia, la musica parla la lingua di Dioniso, laddove il versante apollineo è invece appannaggio della plastica parola poetica. È allora suggestivo ipotizzare che queste due istanze soggettive, in perenne conflitto nel corso di tutta la sua vita, fossero già presenti in nuce negli anni della sua giovinezza… Forse proprio per questo si era dato al lied neanche ventenne, cioè a un genere che più di altri si fonda sull’equilibrio tra queste due istanze, un genere che saltella sull'abisso dionisiaco, pur restando sulla riva apollinea. Una terra di frontiera frequentata anche da Hölderlin che, ormai folle, trascorse gli ultimi trentasei anni della sua vita dedicandosi anche alla musica, in cima alla torre di Tubingen. A ogni modo, appare pacifico che la composizione mettesse Nietzsche in condizione di maneggiare il reale e, al contempo, di difendersene. Forse sempre per questo da bambino era rimasto folgorato dal Messiah di Georg Friedrich Händel e aveva deciso di prendere lezioni di pianoforte: lungi dal cercare un mero sollazzo, riteneva che padroneggiare quello strumento non gli avrebbe soltanto garantito l’ac cesso alle contrade del reale, ma gliene avrebbe fornito una mappa, l’avrebbe messo nelle condizioni di averci a che fare.
Si dice che come musicista impressionasse chi lo ascoltava suonare e che le sue improvvisazioni fossero notevoli, ma la musica non poté salvarlo per sempre dall'aorgico che, alla fine, lo inghiottì nel 1899. Nonostante fosse fuori di sé, Nietzsche restò legato alla musica fino alla sua morte, suonando non solo sul ciglio, ma anche dal fondo dell’abisso.