Non c’è giorno che si legga qua e là di una nuova crisi, di una nuova emergenza, di un nuovo problema. Si dirà: ogni tempo ha i suoi grattacapi. E dunque, forse è bene guardare a ciò che accade, leggere e ascoltare la cronaca sempre con un pizzico di calma e compostezza d’animo. La realtà non è probabilmente esaltante, ma non è forse essa fatta dagli uomini? Troppo spesso accade che “realtà”, come tante altre parole, da lemma che indica qualcosa che creiamo o a cui compartecipiamo tramite le nostre azioni, diviene ipostasi: ovvero, un’entità dotata di vita propria. Nulla di più errato, poiché ciò comporta la totale deresponsabilizzazione della persona e, di conseguenza, dirige al suo snaturamento. La realtà non è buona? Allora sono probabilmente le nostre azioni e i nostri principi a non esserlo. Meglio prenderne atto, con umiltà e responsabilità, e provare a emendare i propri comportamenti.
D’altro canto, non sono rari i libri, o gli autori, che possono aiutarci a ritrovare la strada. Tra i molti – forse non troppi – che si possono citare, val la pena menzionare La ribellione delle masse (1929), del filosofo spagnolo José Ortega y Gasset, e Nelle ombre del domani (1935), dello storico olandese Johan Huizinga. Insieme, essi costituiscono le due facce di una stessa medaglia: presi singolarmente, invece, sono testi fondamentali, che però consentono di comprendere solo – il che non è comunque poca cosa: i classici, dopo tutto, hanno sempre qualcosa da dire – una metà del tutto. Ortega vede nell’emergere e nella proliferazione dell’uomo-massa il problema del suo tempo. Huizinga, per contro, legge la crisi della sua epoca come crisi della cultura, del pensiero e della riflessione critica: si tratta, perciò, di una crisi primariamente degli intellettuali. Vere ambo le tesi, parrebbe oggi. Vediamo noi una scarsa qualità dell’uomo medio a cui si accompagna una altrettanto misera qualità di chi dovrebbe guidare o, quantomeno, accompagnare l’uomo medio. Se ribellione dell’uomo-massa è, possiamo però anche parlare di tradimento delle élite, come ha scritto in tempi più vicini a noi lo storico americano Christopher Lasch.
A unire queste due facce vi è un filo invisibile ma robusto che Romano Ferrari Zumbini ha individuato in Guardo dalla finestra. Riflessioni semplici (Paracelsus). Storico del diritto all’Università Luiss “Guido Carli” di Roma, Zumbini pone enfasi sul fattore tempo: la crisi odierna è soprattutto rintracciabile in una concezione del tempo totalmente diversa rispetto a quella che forgiato il mondo occidentale. Quando si parla di tempo – che l’Autore scrive non a caso la lettera maiuscola, proprio per indicare un potente tronco senza il quale la civiltà perde una colonna portante – non va inteso nel senso più immediato, e cioè come quella cosa che la lancetta dell’orologio indica passare. Certo, è anche quello, ma non è solo quello. Esso è la storia che ha contribuito a plasmare il presente, esso è la continuità che lega le generazioni, esso è il vincolo che ci unisce tutti e ci riporta alla nostra fragilità umana. Quando tutto questo svanisce, le fondamenta su cui poggiamo tremano.
Il tempo è quella presenza, insomma, che ci ricorda i nostri limiti costitutivi: materiali, gnoseologici, culturali, spirituali. Ma si tratta anche di un potente alleato per non perdere di vista il principio di realtà. Il tempo ci obbliga a fare i conti con la nostra condizione e a prendere consapevolezza di ciò che si può fare o meno. Ci aiuta a ricordare ciò che non va dimenticato, in modo tale da non commettere gli errori compiuti in precedenza. Ci guida verso la responsabilità che ciascuno è chiamato ad avere e curare ogni giorno, trasmettendola ai propri cari in fase di crescita, per far sì che il futuro abbia buone e solide basi. Il tempo ci chiarisce che la libertà non è emancipazione totale da qualsiasi vincolo, quanto piuttosto l’accettazione che gli assoluti terreni non esistono, e la libertà senza principi o valori permanenti conduce al suo tradimento.
«Viviamo bene e i tempi saranno buoni. Noi siamo i tempi», ha affermato qualche mese fa Papa Leone XIV citando Sant’Agostino. Ricordiamoci di quest’invito quando siamo chiamati a scegliere, secondo coscienza e buoni principi. Non ci appartiene forse quella «vocazione di costruttori responsabili della società terrena» di cui parlava Papa Giovanni Paolo II quasi 40 anni orsono?
Carlo Marsonet