Mercoledì 3 dicembre 2025, ore 16:54

Libri

Un lungo appello all’uguaglianza e alla tolleranza

di MAURO CEREDA

Un crocevia di artisti, soprattutto pittori, provenienti da tutto il mondo. Un microcosmo affascinante, ricco di storia e storie, di vita e vite. Questo è stato per lunghi anni l’Ho tel Spaander, aperto nel 1881 da Leendert Spaander e dalla moglie Aaltje (con cui generò undici figli, nove dei quali sopravvissuti: sette femmine e due maschi) nel pittoresco villaggio di pescatori di Volendam, a pochi chilometri da Amsterdam. E’ qui che, in particolare nei decenni a cavallo fra il diciannovesimo e il ventesimo secolo, il mondo dell’arte si è dato appuntamento, in un alternarsi di stili e tecniche, con l’obiettivo comune di catturare sulla tela quella particolare luce che si formava fra la terra, il cielo e le acque dello Zuiderzee. all’epoca suggestiva baia del mare del Nord, trasformatasi successivamente in un lago con la realizzazione, nel 1932, di una grande diga.

I fatti che si sono sviluppati intorno all’hotel e i vissuti personali dei suoi frequentatori sono stati ricostruiti e raccontati con straordinaria forza narrativa da Jan Brokken nel libro “La scoperta dell’Olanda” (Iperborea). L’autore, fra gli altri di “Anime baltiche” e “Bagliori a San Pietroburgo”, ha tirato fuori dal cilindro un libro bellissimo, da centellinare e conservare, arricchito da un corposo apparato fotografico che rende la lettura ancora più interessante. I viaggiatori diretti all’albergo erano accolti da un cartello posto all’ingresso che dava loro il benvenuto (“Kunstenaars, kom binnen!”, “Artisti, entrate!”). Spaander offriva ai suoi ospiti vitto e alloggio a prezzi modici e al pianterreno aveva allestito undici atelier esposti a nord, dove si poteva dipingere approfittando della luce del mattino.

“L’Hotel – scrive Brokken, che ha presentato il libro in Italia al Festivaletteratura di Mantova – è situato in una splendida posizione sulla diga esterna, accanto al porto, con la visuale aperta sul Gouwzee, l’acqua grigiastra fra Volendam e l’isola di Marken. Dall’altra parte si estende il quartiere più antico del villaggio, dove davanti ai pittori si aprivano scene come in un allestimento teatrale. Reti appese ad asciugare tra le casette di legno dei pescatori, e davanti alle case le donne sedute a rammendare, con in testa la caratteristica cuffia di tulle e pizzo, chiamata ‘hul’ nel dialetto di Volendam, una sciarpa di lana a righe intorno al collo e un grembiule bianco o nero che arrivava fino agli zoccoli. Intorno al 1900, dallo Zuiderzee arrivavano più aringhe che dal mare del Nord, e Volendam era uno dei porti di pesca più importanti. I ‘botter’ (le barche) pesca di vano anche sogliole e acciughe”. Il tempo a Volendam sembrava essersi fermato, tanto

che il paesaggio richiamava ancora i dipinti dei grandi maestri olandesi del XVII secolo. E’ questo il contesto che attirava artisti da ogni angolo del mondo, molti dei quali ripagavano l’ospitalità donando le proprie opere che finivano appese ovunque, nelle camere, nelle sale comuni, nelle cucine, sulle scale. E a rendere il tutto ancora più piacevole c’era la bellezza delle figlie di Leendert e Aaltje che spesso si prestavano a posare come modelle, non riuscendo quasi a stare dietro alle richieste sempre numerose. Brokken calcola che in totale a Volendam si stabilirono per periodi più o meno lunghi ben 1863 tra pittori, incisori, scultori, illustratori, fotografi, 1400 dei quali presero alloggio allo Spaander. Uomini e donne con storie straordinarie, vite felici e tristi, alle quali non potrà non appassionarsi anche il lettore meno interessato ai movimenti artistici di quegli anni. Va anche sottolineato che all’e poca quella zona dell’Olanda, pur fortemente attaccata alla propria cultura e alle proprie tradizioni, era libera e tollerante, gli stranieri erano benvenuti (qualche problema ci sarà allo scoppio della Prima Guerra Mondiale). Prova di questa apertura è anche il fatto che le pittrici potevano tranquillamente ritrarre degli uomini, come non accadeva in altri Paesi europei.

Da qui passarono artisti famosissimi come Pierre Auguste Renoir, Paul Signac, Vasilij Kandinskij, Pablo Picasso. O personaggi come lo scrittore Marcel Proust, i compositori Edvard Grieg e Maurice Ravel, il militare Alfred Dreyfus (quello del “J’ac cuse” di Zola). Ma ancora più interessanti sono le mille storie dei frequentatori meno noti al grande pubblico, che hanno comunque lasciato un segno nella storia dell’arte. Brokken accompagna il lettore nelle pieghe delle loro vite, raccontando gioie e dolori, amori e lutti, descrivendo le opere, evidenziando i talenti e le capacità creative, le influenze, gli incontri e gli scambi. Questo libro racconta il passato ma guarda al presente e al futuro. Ne ha parlato l’autore in un’intervista al “Giornale dell’arte” che mi permetto di riprendere: “E’ giunto il momento che gli artisti si riuniscano di nuovo per portare una ventata di aria fresca nel mondo. Spero che il mio libro sia di ispirazione per le nuove generazioni. L’Hotel Spaander non era solo una delle più grandi colonie di artisti mai esistite, ma anche la prima in cui le artiste partecipavano in gran numero. Il mio libro è un lungo appello all’uguaglianza e alla tolleranza. Un tempo questi erano i pilastri della società europea. Perché li abbiamo dimenticati?” Bella domanda.

( 3 dicembre 2025 )

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Un lungo appello all’uguaglianza e alla tolleranza

Un microcosmo affascinante, ricco di storia e storie, di vita e vite. Questo è stato per lunghi anni l’Hotel Spaander

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