Sono passati quasi cento anni dall’ascesa del totalitarismo nazionalsocialista. Più di un secolo è invece ormai trascorso dalla Rivoluzione d’Ottobre. Eppure, c’è ancora chi fa fatica a dirsi antitotalitario. Nazionalsocialismo e comunismo costituiscono due facce di una medesima medaglia: l’illiberalismo al potere, la dignità della persona umana schiacciata dal collettivismo. Molte, per fortuna, sono state le testimonianze di chi non si è chinato di fronte all’idolatria dell’antiliberalismo (anche se non è mai andata fuori moda, anzi). Limitandoci alla versione hitleriana, pensiamo a Wilhelm Röpke, dovuto riparare prima in Turchia e poi a Ginevra per sfuggire alla vergogna totalitaria. In un importante e bellissimo discorso del 1933, tenuto a Francoforte poco prima della sua partenza, End of an Era?, il tedesco vedeva nell’hitlerismo – ma in generale dell’illiberalismo in voga nell’Europa degli anni Trenta – la commistione di tre componenti: il servilismo, l’irrazionalismo e il brutalismo. Il totalitarismo non era che il tradimento, e ancor più il sovvertimento di ciò che era stata la base dell’Europa e del mondo occidentale: l’individualismo, lo spirito illuministico, l’umanitarismo.
Sulla scia del testo röpkiano s’inserisce un altro documento importante e raro, da poco pubblicato per l’editore Aragno. Si tratta di Avvertimento all’Europa, del premio Nobel Thomas Mann. Tradotto e curato da Lucio Coco, il volume riproduce la pubblicazione uscita in francese nel 1937, con la prefazione di André Gide e quattro brevi articoli dell’autore de I Buddenbrook: la risposta alla lettera (anch’essa presente nel libro) del Preside della Facoltà di Filosofia dell’Università di Bonn che gli comunicava l’espunzione della lista dei dottori honoris causa a seguito della sua perdita di cittadinanza; il saggio che dà il titolo al volume, Spagna e Cristianesimo e socialismo. E’ proprio Avvertimento all’Europa che ci consegna la più pura testimonianza dell’umanesimo manniano, come scrive Gide nella prefazione. È uno scritto che ricorda La ribellione delle masse di José Ortega y Gasset, del resto citato, ma anche Nelle ombre del domani di Johan Huizinga. A Mann preoccupa soprattutto l’inaridirsi della cultura. Il nazionalsocialismo cos’è stato se non proprio un’abdicazione della stessa? Un tradimento dei chierici, o degli intellettuali, unità all’irruzione delle masse sulla scena politica. I giovani, scrive l’Autore, «nulla sanno della “cultura” nel senso più alto e più profondo, del lavoro su di sé, dell’incomodo, e trovano il loro agio nella dimensione collettiva». L’ebbrezza del “gruppismo”, la liberazione dalla responsabilità individuale, lo svuotamento della morale e del dubbio: questo ha condotto al totalitarismo. «Diminuita e umiliata spiritualmente, svuotata moralmente, lacerata interiormente»: la Germania, intellettuali e massa uniti, verso la catastrofe.

