Giovedì 1 maggio 2025, ore 4:32

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Via Po Cultura

Come avviene ormai da alcuni anni, anche quest’anno in occasione della Pasqua, durante il periodo della quaresima e fino al 25 maggio, il Museo Diocesano Carlo Maria Martini di Milano, ha proposto un percorso di riflessione attraverso l’avvicinamento ad un’opera d’arte, per permettere al suo pubblico di fermarsi e contemplare il tema della morte e della resurrezione. Per quest’anno giubilare la scelta del museo è caduta sulla “Deposizione di Cristo dalla croce” di Jacopo Tintoretto (al secolo Jacomo Robusti), opera di sconvolgente spiritualità ed umanità, considerata uno dei capolavori assoluti della pittura veneziana della seconda metà del Cinquecento. La mostra dal titolo “Attorno a Tintoretto” nasce non solo dalla nuova collaborazione con la Galleria dell’Accademia di Venezia, che hanno concesso in prestito l’opera, ma anche dalla rinnovata collaborazione con Casa Testori, che ha permesso a quattro giovani artisti (Jacopo Benassi, Luca Bertolo, Alberto Gianfreda, Elisabetta Novello) di mettere in dialogo le loro opere con il capolavoro cinquecentesco, rivisitato ognuno con il proprio linguaggio e stilema, per penetrare in modo più profondo il tema della morte e della vita, rispondendo con una visione contemporanea a quelle domande e sollecitazioni che possono scaturire da un grande capolavoro come quello di Tintoretto. Il dialogo, nonché il confronto, tra le opere dei quattro artisti, il cui percorso è stato curato da Giuseppe Frangi, è costruito in modo che sia diretto e continuo con il capolavoro cinquecentesco, in quando le quattro opere sono allestite in quattro stanze aperte direttamente sulla sala in cui è collocata la Deposizione. Il dipinto di Tintoretto scelto per la mostra, è pieno di pathos, grazie alla carica espressiva presente nei soggetti raffigurati, ai giochi di chiaroscuro che vanno ad accentuare la teatralità narrativa con cui viene presentato il momento della Deposizione dalla croce del Cristo. L’opera, che non ha avuto in passato molta fortuna critica, alle origini presentava un formato quadrato e solo in un secondo momento sono stati aggiunti circa 35 cm da un lato e 35 cm dall’altro, per dare maggior respiro al paesaggio sullo sfondo. La scena dipinta è molto concitata e drammatica con un risultato emotivo molto coinvolgente ed emozionante, grazie soprattutto al dinamismo presente nei gesti dei personaggi e nelle espressioni dei loro volti, pieni di dolore e disperazione, emozioni accentuate da un sapiente gioco di luci in contrasto con il fondo in penombra. Intorno al corpo di Cristo, appoggiato sul grembo della Vergine svenuta, sono disposti in modo teatrale tre personaggi: forse Maria di Cleofa che regge la Madonna, la Maddalena raffigurata con le braccia allargate in un gesto di disperazione, e Giuseppe d’Arimatea sulla sinistra, il cui corpo è inarcato per sostenere il peso di Cristo. Sullo sfondo è raffigurata la croce e a terra sono dipinti i simboli della passione: la tenaglia, i chiodi e il martello. L’opera, proprio per il dolore tutto umano che trasmette, si potrebbe definire a tutti gli effetti un “Compianto” di fronte al quale si avverte il senso della morte e della fine, ponendo all’osservatore una serie di domande e riflessioni a cui solo la fede e la speranza nella risurrezione possono sciogliere. Il percorso della mostra, teso ad accompagnare in modo lento e consapevole il visitatore verso l’opera, parte da una prima sala in cui si approfondisce il contesto storico e biografico relativo all’artista, per permettere al pubblico di entrare nel mondo di Tintoretto e della Venezia in cui egli operava. L’opera collocata oggi dalla critica intorno al 1560-1562, viene dipinta dall’artista ormai maturo (Tintoretto era infatti nato nel 1519), quando aveva già raggiunto la notorietà a Venezia dove lavorava per numerose committenze religiose e profane. Tintoretto non si muove quasi mai da Venezia, non solo perché è nativo della città lagunare, ma perché lì svolge gran parte del suo lavoro, oggi sparso in molte chiese e cappelle disseminate nei numerosi calli della città. La Venezia in cui egli opera è quella successiva agli anni Trenta, dopo che il governo del Doge Andrea Gritti l’aveva trasformata in una nuova città eterna, la nuova Roma, richiamando molti artisti come il Sansovino, che ne avevano cambiato i connotati visivi, introducendo lo stile classico, rompendo così gli schemi tipici dello stile veneziano. Negli anni Cinquanta, quando Tintoretto ha ormai raggiunta la piena maturità, l’arte a Venezia è influenzata così dalla presenza di due filoni artistici: da un lato è diffuso ancora un linguaggio classico e manieristico, mentre dall’altro lato iniziano a diffondersi nuovi dettami stilistici determinati dal Concilio di Trento che voleva una pittura quale biblia pauperum, molto chiara e comprensibile, per sollecitare la comprensione di un pubblico più ampio, raccontando i fatti in modo semplice. In Tintoretto intorno agli anni Cinquanta si era verificata una vera e propria svolta stilistica, evidente a partire dal 1548 nell’opera “Il miracolo dello schiavo” dipinta per la Scuola di San Marco (riprodotta tra le diverse opere dell’artista nella prima sala della mostra). L’artista si era allontanato dallo stile manierista e aveva abbracciato uno stile tutto suo. rompendo con gli schemi classici grazie all’introduzione nelle sue opere dei chiaroscuri, che evidenziavano nuovi rapporti di luci e ombre, di scorci arditi e di scene molto dinamiche, che nessuno prima di lui aveva mai introdotto. Bisogna infatti ricordare che la Venezia precedente era quella di Bellini, Giorgione e di Tiziano, artisti che non avevano mancato di influenzare una prima pittura del giovane Iacopo. Egli per i suoi dipinti riprende molti temi iconografici ricorrenti nell’arte religiosa, ma li interpreta in modo nuovissimo, introducendo elementi del vissuto quotidiano, per farsi capire dal popolo, rompendo anche le iconografie più consuete con soluzioni molto ardite. Intorno al 1560 esegue la Deposizione dalla croce di Cristo, oggetto della mostra, pensata come pala d’altare per la chiesa di Santa Maria dell’umiltà delle Zattere, prima chiesa gesuita a Venezia. La chiesa viene poi nel 1806 demolita, e l’opera confluisce negli anni Venti dell’Ottocento nelle Gallerie dell’Accademia. Una seconda sala della mostra offre al visitatore, l’opera ricostruita nei minimi particolari, permettendo un lento e graduale avvicinamento emotivo al capolavoro, grazie ad un video girato da Ivano Conti sulle note delle musiche di Walter Muto. Il percorso continua poi con una sala in cui il capolavoro è riprodotto in dimensioni più piccole per poterlo raccontare al pubblico prima dell’incontro diretto con esso. Su un pannello sono rappresentate le linee di forza principali dell’opera che è una specie di close up cinematografica. Le sue dimensioni sono monumentali, quasi 4 metri per 3 metri, con figure più grandi del vero, ed è realizzata con pennellate veloci e libere dopo che l’artista ha preparato la tela con una preparazione bruna fatta da residui della tavolozza dipingendo al risparmio anche per andare più veloce. Il colore è steso rapidamente, a tratti singoli e a macchie dai toni brillanti, riportati all’originale splendore dall’intervento conservativo attuato sulla tela tra il 2008 e 2009. Tintoretto declina il tema della passione, più volte nella sua carriera, in modo sempre molto narrativo, con un dinamismo molto forte, sottolineando diversi aspetti della scena spesso non citati nei vangeli. Il gruppo di pie donne presenti sotto la croce, è molte volte presente nelle sue rappresentazioni, così come la figura della Vergine svenuta, che caratterizza anche la Deposizione oggetto della mostra, su cui si concentra l’attenzione dell’artista, come se volesse fermare l’immagine su un istante, lento e fermo, di contemplazione di un mistero come quello del dolore, visto nella sua dimensione terrena ed umana. Una lentezza in contrapposizione a quanto sicuramente doveva essere avvenuto nei fatti, in cui l’atto della deposizione dalla croce e della consegna del corpo ai parenti richiedeva velocità e immediatezza d’azione. La Deposizione di Cristo dalla croce, presenta proprio il momento in cui il corpo di Cristo viene restituito ai suoi cari. Maria pur svenuta per il dolore della morte del figlio tiene ancora tra le mani con grande delicatezza di madre i piedi di Gesù, mostrando il desiderio di voler proteggere con le sue mani il corpo del figlio, un gesto dolcissimo che assume ancora più significato perché è dipinto accanto agli strumenti di tortura, creando un contrasto ancora più evidente tra ciò che il figlio aveva dovuto soffrire e il suo senso di protezione (gesto che è sempre presente anche nelle madonne di Bellini). Intorno alla madre e al figlio vi sono gli ultimi ad essere rimasti “i nuovi discepoli”, tutti soggetti che sembrano essersi dimenticati delle parole di Cristo che aveva preannunciato la sua risurrezione e che dunque sono sgomenti di fronte ad una morte così violenta, e esprimono con i loro gesti e i loro sguardi un dolore pienamente terreno e umano di fronte al quale ognuno di noi è chiamato a riflettere e a porsi domande. I colori della rappresentazione sono brillanti e le linee dai tratti ben definiti, non a caso è stato detto che Tintoretto nelle sue opere si fa interprete di una narrazione pittorica capace di unire insieme “il disegno di Michelangelo al colore di di Tiziano”, riassumendo così l’intera arte pittorica cinquecentesca.

Il tema della morte che diventa speranza di vita presente nel capolavoro di Tintoretto è ripreso con modalità diverse dai 4 artisti contemporanei in dialogo con il capolavoro cinquecentesco. Il percorso di attualizzazione del tema si apre con l’opera di Luca Barbato “Veronica”. Un velo della Veronica caratterizzato dall’assenza del volto di Cristo invita a riflettere intorno al tema dell’attesa, come l’ombra sul volto di Cristo nell’opera di Tintoretto, il velo senza volto non nasconde, ma mette in evidenza una domanda e una speranza. L’opera è il risultato di più tele, non riuscite, ricucite insieme dall’artista come simbolo di ferite che pur rimarginate portano vivi i segni del passato doloroso in cui il vissuto personale si unisce al tema religioso. La seconda opera di Jacopo Benassi è una copia della Deposizione di Caravaggio che lo stesso artista aveva dipinto a 18 anni e poi donato alla madre che l’aveva tenuto appesa sopra il suo letto fino al giorno della sua morte. Una volta staccata la tela l’artista era rimasto impressionato dal segno lasciato sul muro dal quadro e ne aveva eseguito delle fotografie. Ora l’opera, unione di parte della tela e delle immagini ricordo della madre, porta il ricordo di lei, la cui morte è sempre viva nel cuore dell’artista, ma non come definitiva separazione. Alcuni versi dell’ultima strofa de “Il canto dei crisalidi” (poesia di Carlo Michelstaedter, friulano di Gorizia), “Morte vita,/la morte nella vita . Vita morte/ la vita nella morte”, iscritti sulla cenere deposta sul pavimento della terza sala, costituiscono l’opera di Maria Elisabetta Novello, a sua volta friulana, a ricordare la condizione di finitezza della vita umana e il suo valore infinito di fronte a Dio, ricordando le parole di Benedetto XVI di fronte ai passi della genesi “ L’uomo è polvere e in polvere ritornerà, ma è polvere preiosa agli occhi di Dio”. Conclude il percorso l’opera di Alberto Gianfreda: una scultura costruita con cocci di centinaia di piatti in ceramica bianca ricomposti in una forma che porta in sé le ferite e insieme suggerisce una possibile risurrezione di ciò che è scarto e rovina. Degli sgabelli intorno alla scultura ricordano anche la mensa quasi a richiamare metaforicamente l’ultima cena e il sacrificio di Cristo che dona il suo corpo e il suo spirito per diventare pane di vita per l’umanità.

La mostra è arricchita da un fitto programma di visite e di eventi che accompagneranno i visitatori di tutte le età per l’intera durata della stessa, con l’apporto e la collaborazione anche di alcune associazioni che si occupano di inclusione e di soggetti con disabilità, che condivideranno con i visitatori il loro personale pensiero emerso durante le diverse visite. Un modo sicuramente inclusivo per riflettere sulla speranza che nasce dalla morte, tema centrale dell’anno giubilare.

Eliana Sormani

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