Sabato 5 luglio 2025, ore 17:32

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Qualche mese fa, la rivista online Lisander, nata dalla sinergia tra Istituto Bruno Leoni e Tempi e diretta dal sociologo della cultura Sergio Belardinelli, ha aperto una discussione sul tema dell’ecologia degli ambienti digitali. Il saggio di apertura è stato assegnato ad Adriano Fabris, filosofo morale e studioso di etica della comunicazione e deontologia dell’intelligenza artificiale all’Università di Pisa. Lo scritto di Fabris ha posto in chiaro la questione: l’uomo non deve essere sostituito o soverchiato dalle nuove tecnologie, ma deve piuttosto, per così dire, essere da loro coadiuvato. Tutti noi viviamo ormai in molteplici ambienti contemporaneamente, da quello naturale “reale” a quello appunto digitali. Solo che non di rado sembriamo assorbiti a tal punto da questa dimensione altra da diventare follower. Per il filosofo italiano, dunque, è fondamentale che gli uomini non perdano di vista le opportunità delle nuove tecnologie senza per questo diventarne succubi. In tal senso, egli concludeva il ragionamento affermando quanto fosse necessario adottare un’etica per approcciarsi a questi nuovi contesti, magari anche ridefinendola, ma comunque senza mai perderla di vista. In gioco, vi è l’orientamento dell’uomo al mondo e la sua capacità di usare i nuovi strumenti artificiali, anziché essere usati dagli stessi.

Possiamo dire che tale scritto è ora ripreso e ampliato massicciamente con un libro recentemente pubblicato da Carocci. La filosofia nell’epoca dell’intelligenza artificiale. Come ci aiuta a vivere negli ambienti tecnologici invita di fatto a non perdere la bussola. Tra i risultati dell’indagine condotta all’interno del progetto FAIR (Future of Artificial Intelligence Research) finanziato dal PNNR, il volume indica la direzione da seguire. La filosofia e l’etica vengono infatti viste come discipline ancillari, quando non inutili, in un mondo sempre più caratterizzato dalla preminenza delle discipline tecnico-scientifiche. Eppure, osserva Fabris, proprio le discipline umanistiche si dimostrano imprescindibili. Il motivo è chiaro. La filosofia serve a porre domande, a interrogare l’uomo circa il suo rapporto con il mondo che abita, così come l’etica serve a orientare i comportamenti umani, in fondo. Da ciò risulta, pertanto, che proprio filosofia ed etica si rendano necessarie in un contesto iper-tecnologico in cui il pilota del progresso sembra diventato quasi automatico. L’indagine sulla realtà operata da filosofia ed etica, nota Fabris, sono dunque al servizio dell’uomo quando questo sembra smarrire il senso delle cose e della propria esistenza.

Fabris non è un luddista moderno, come invece sembrano molti altri. Dopo tutto, la preoccupazione per qualcosa di nuovo può prendere in linea di massima tre strade. Il rifiuto totale, guidato dalla paura; l’euforia, trainata dall’ottimismo cieco; l’apertura critica, condotta dalla prudenza e dalla capacità di discernimento. È quest’ultima la via seguita da Fabris, il che appare del resto l’approccio più promettente. Per il filosofo, l’uomo si differenzia dalle macchine per il fatto che «è in grado di sporgere al di là di sé, e al di là del contesto in cui normalmente pensa e agisce. È insieme rivolto a sé e proiettato verso altro». L’essere umano, direbbe il filosofo e sociologo Helmuth Plessner, è dunque “eccentrico”. Inoltre, prosegue Fabris, l’uomo ha la possibilità di esercitare scelte libere. Per lui, «scegliere è sempre possibile. L’etica, la filosofia, ce lo insegnano». La riflessione filosofica è infine al servizio dell’uomo perché gli insegna o gli ricorda che lo sviluppo tecnologico va guidato e anche controllato.

Nell’epoca dell’intelligenza artificiale, secondo Fabris non è più spendibile e adeguata la metafora hegeliana della “nottola di Minerva”. La velocità con cui il mondo si muove non consente una panoramica completa della situazione su cui poter riflettere. Forse, risulta più appropriata la figura della tartaruga. Animale la cui lentezza è nota, ma la cui capacità di movimento si rivela più sorprendente, come sosteneva Zenone, di quella di Achille. La tartaruga, a differenza di Achille, è probabilmente consapevole dei propri limiti, ma al contempo è coraggiosa e ha spirito di avventura. Mentre Achille guarda sempre avanti, l’animale ha contezza di tutte le difficoltà che incontra per la strada: «può dunque gettare uno sguardo non solo in avanti, ma anche e soprattutto sulle cose e fra le cose». Una bella metafora su cui meditare per non rimanere schiacciati dalle magnifiche sorti e progressive. Ma nemmeno per vivere da luddisti inconsapevoli (ma non troppo).

Carlo Marsonet

 

( 5 luglio 2025 )

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