Se c’è una cultura che non ama la personalizzazione della politica è quella del cattolicesimo politico italiano. Sia nella sua versione democratica o popolare o sociale. Perché, appunto, si tratta di una tradizione che ha sempre privilegiato il progetto, la proposta e l’iniziativa rispetto all’adulazione servile e miracolistica di un capo.
Non a caso, nella stessa Dc si è sempre parlato di “leadership diffusa” anche se in quel partito, l’ultimo grande partito italiano, c’erano grandi leader nonché statisti.
Ma, per non rifugiarsi nella nostalgia o nella mera decantazione del passato, è inutile nascondere che il capitolo della leadership, accanto indubbiamente alla valenza del progetto, assume oggi un’importanza straordinaria ai fini del consenso, della rappresentanza politica e della bontà del progetto stesso. E l’individuazione del leader, accanto al profilo democratico e collegiale del partito, resta comunque un tassello decisivo per qualificare il progetto politico. Parlo, come ovvio, di una rinnovata e qualificata presenza dei cattolici italiani nella cittadella politica contemporanea.
Ma anche sul tema della leadership occorre intendersi. E cioè, il leader non è un astratto predicatore di valori e di principi. Categoria, questa, che abbonda e che, tuttavia, resta sostanzialmente incompatibile con la necessità, e anche l’utilità, di avere dei leader. Leader di una comunità, beninteso. E non di un circolo autoreferenziale e circoscritto fatto di adulatori o di tifosi.
Un leader che “naturalmente” è il punto di riferimento di un mondo, di un’area e di un segmento della società non perché viene “benedetto” dall’alto attraverso i soliti e ben noti meccanismi di potere ma, al contrario, perché viene selezionato nella concreta battaglia politica. Senza auto investiture, senza ‘benedizioni’ di casta e, soprattutto, senza essere predestinato a ricoprire ruoli di potere in virtù di misteriosi meccanismi di selezione. Cioè il leader è il frutto e la conseguenza di un percorso che coincide con una pratica democratica e popolare che poco si addice per chi è abituato a ricoprire incarichi di potere e di grande prestigio o nell’amministrazione dello Stato o perché ”scende in campo” solo se assolve e ricopre incarichi di potere. A prescindere.
Ecco, di tutto ciò oggi l’area cattolica italiana, seppur nel rigoroso rispetto del pluralismo politico che la contraddistingue, non ne ha bisogno. Semmai, e al contrario, è necessario ed indispensabile che l’area cattolica italiana - sia sul versante della sinistra, sia su quello del centro destra come su quello più squisitamente centrista - abbia dei punti di riferimento politico e culturali autorevoli ma soprattutto popolari. Cioè espressione di una cultura politica che si afferma attraverso una rigorosa prassi democratica e popolare.
Questa è la lezione decisiva, di merito ma soprattutto di metodo, che oggi deve caratterizzare l’area cattolica italiana.
E l’esempio, questa volta sì, ce lo offre il passato. Perché se è vero che non si vive di nostalgia, è pur vero che i criteri democratici e popolari per selezionare la classe dirigente non cambiano con le mode del momento. Ma affondano le loro radici nella storica ed antica cultura del cattolicesimo politico italiano. E, ieri come oggi, quelle regole conservano una straordinaria attualità e modernità.
Giorgio Merlo