Giovedì 25 dicembre 2025, ore 6:03

Scenari

A Natale non dimentichiamo il prezzo della dolcezza a basso costo

Finché l’industria non pagherà un prezzo equo e i governi non imporranno una reale responsabilità, ogni tavoletta di cioccolato rimarrà un debito morale non pagato. Nell’Africa occidentale, che produce oltre il 60% del cacao mondiale, oltre 1,5 milioni di bambini lavorano ancora in condizioni pericolose. E’ l’opinione su Politico di Heidi Kingstone, giornalista e scrittrice che si occupa di diritti umani, conflitti e politica. Il suo libro più recente è “Genocidio: storie personali, grandi domande”. La schiavitù è viva e rigogliosa, ed è avvolta in luccicanti barrette di cioccolato che promettono di essere “equo solidale”, “senza lavoro minorile” e “sostenibili”. Ma non basta il disegna di una ranocchietta a scaricare la coscienza a Bill Gates e ad altri come lui che investono nella pseudo-filantropia quando bambini, alcuni di appena cinque anni, usano i machete per rompere i baccelli con le mani, trasportano carichi che pesano più di loro e spruzzano pesticidi tossici senza protezione. Delle circa 2 milioni di tonnellate di cacao prodotte ogni anno dalla Costa d’Avorio, tra il 20 e il 30% viene coltivato illegalmente in foreste protette. E i dati satellitari di Global Forest Watch mostrano un aumento della deforestazione nelle principali regioni di coltivazione del cacao, mentre gli agricoltori, alla disperata ricerca di reddito, si spingono sempre più in profondità nelle riserve forestali. L’amara - è proprio il caso di dirlo - verità è che, nonostante decenni di promesse, programmi di certificazione e confezioni che brillano di virtù (foreste salvate, agricoltori rafforzati e coscienze rassicurate), la maggior parte delle aziende produttrici di cioccolato non è riuscita a sradicare lo sfruttamento dalle proprie catene di approvvigionamento. Forse perché non conviene loro affatto. Oggi, molti coltivatori di cacao in Costa d’Avorio e Ghana guadagnano ancora meno di un dollaro al giorno, ben al di sotto della soglia di povertà. Secondo un rapporto del 2024 dell’International Cocoa Initiative, un agricoltore medio guadagna solo il 40% di un salario dignitoso. Per dirla in parole povere, mentre il mercato mondiale del cioccolato crescerà fino a raggiungere quasi i 150 miliardi di dollari all’anno nel 2025, l’agricoltore medio riceverà oggi meno del 6% del valore di una singola tavoletta di cioccolato, mentre negli anni '70 ne riceveva più del 50%. Poi c’è lo sfruttamento del lavoro minorile, che è essenzialmente insito nel tessuto di questa economia, dove ci è stata venduta l’illusione del progresso. Dal Protocollo Harkin-Engel del 2001 – un accordo volontario per porre fine al lavoro minorile da parte dei giganti mondiali del cioccolato – agli odierni report ambientali, sociali e di governance (Esg, ormai ampiamente trascurati), ogni iniziativa ha promesso progressi e si è tradotta in ritardi. “Nel 2007 - scrive la giornalista - l’industria ha ridefinito silenziosamente la certificazione pubblica, trasformandola da un impegno per l’etichettatura dei prodotti destinati ai consumatori a un vago impegno a compilare statistiche sulle condizioni di lavoro. Non ha rispettato la scadenza originale del 2010 per l’eliminazione del lavoro minorile, né un nuovo obiettivo per ridurlo del 70% entro il 2020. E quello stesso anno, uno studio del National Opinion Research Center dell’Università di Chicago ha rilevato che il lavoro minorile pericoloso nella produzione di cacao è aumentato dal 2008 al 2019”. “Abbiamo raccontato la storia di una nave che trasportava bambini vittime di tratta”, ha ricordato il giornalista Humphrey Hawksley, che per primo ha denunciato la questione nel documentario della Bbc intitolato Slavery: A Global Investigation. “Le aziende produttrici di cioccolato si sono rifiutate di commentare e hanno parlato come un’unica industria. Questa era la loro regola. Anche oggi, nessuna di loro è libera dalla schiavitù”, ha aggiunto. Allo stato attuale, molti degli oltre 1,5 milioni di bambini dell’Africa occidentale impiegati nella produzione di cacao vengono trafficati dai vicini Burkina Faso e Mali. I trafficanti li attirano con false promesse o addirittura con il rapimento, offrendo a bambini di appena 10 anni biciclette o piccole somme di denaro per raggiungere la Costa d’Avorio. Lì, vengono venduti agli agricoltori per soli 34 dollari l’uno. E una volta in queste fattorie, restano intrappolati. Lavorano fino a 14 ore al giorno, dormono in capannoni senza finestre, senza acqua pulita né servizi igienici, e la maggior parte di loro non vede mai l’interno di un’aula scolastica. Infine, ma non meno importante, arriviamo alla deforestazione: dall’indipendenza, oltre il 90% delle foreste della Costa d’Avorio è scomparso a causa della coltivazione del cacao. Nel 2024, la deforestazione ha subito un’accelerazione, nonostante gli impegni delle aziende di fermarla entro il 2025, poiché il calo della fertilità del suolo e i prezzi stagnanti hanno spinto gli agricoltori ad addentrarsi ulteriormente nella foresta per piantare nuovi alberi di cacao. Certificazioni come “Rainforest Alliance” e “Fairtrade” dovrebbero impedire tutto questo. Ma come ha descritto Ange Aboa, corrispondente di Reuters per l’Africa occidentale e centrale, queste etichette sono “la più grande truffa del secolo!”. Complici di tutto questo sono i finanzieri e gli investitori che ne traggono profitto. “Ad esempio - scrive Kingstone - il fondo sovrano norvegese è il maggiore investitore al mondo e Norges Bank Investment Management (Nbim) è azionista di 9.000 aziende, tra cui Nestlé, Mondelez, Hershey, Barry Callebaut e Lindt, tutte appartenenti al cluster diretto del cioccolato. Nbim detiene anche azioni di McDonald’s, Starbucks, Unilever, della società madre di Dunkin e di Tim Hortons, il cluster degli acquirenti indiretti ad alto volume“. Le famiglie più ricche del cacao – i Mars, i Ferrero, i Cargill, i Jacobs – sono miliardarie grazie allo sfruttamento dei bambini più poveri del mondo”, conferma il giornalista e attivista per i diritti umani Fernando Morales-de la Cruz, fondatore di Cacao for Change. “E paesi come la Norvegia, che si dichiarano etici, traggono profitto dalla schiavitù e dal lavoro minorile”. Il problema è che pochi si chiedono chi raccolga il cacao. E sebbene la direttiva Ue sulla Due Diligence in materia di Sostenibilità Aziendale, adottata lo scorso anno, imponga alle grandi aziende di affrontare le violazioni dei diritti umani e ambientali nelle loro catene di approvvigionamento, i critici affermano che le debolezze, le lacune e i ritardi nell’applicazione della direttiva ne attenueranno l’impatto.
Raffaella Vitulano

( 23 dicembre 2025 )

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