Importante svolta commerciale che allenta una dura guerra commerciale dopo l’annuncio di Usa e Cina di ridurre drasticamente i dazi doganali sui rispettivi prodotti per un periodo iniziale di 90 giorni. Le imposte del 20% imposte da Trump alla Cina a febbraio e marzo relative al fentanyl rimarranno tuttavia in vigore. La guerra commerciale - spiega la Cnn - ha già colpito le economie statunitense e cinese. La crisi tariffaria ha in particolare colpito i lavoratori dell’abbigliamento cinese, come denunciato dal China Labour Bulletin in un dossier. “L’industria tessile e dell’abbigliamento cinese, a lungo definita la fabbrica del mondo, è stata gravemente colpita dalla nuova ondata di dazi statunitensi imposti dagli Stati Uniti nell’aprile 2025. Gli ordini dal Guangdong allo Zhejiang si sono bloccati e le fabbriche sono rimaste in silenzio, mettendo a nudo come le rinnovate tensioni commerciali stiano danneggiando direttamente milioni di lavoratori vulnerabili” scrive il sito. La Cina domina la produzione mondiale di abbigliamento, rappresentando il 31,6% delle esportazioni globali di abbigliamento e il 43% del settore tessile, un’industria da 300 miliardi di dollari nata da 15 milioni di lavoratori migranti, per lo più donne. Per molti, il settore è al tempo stesso un’ancora di salvezza ma anche una trappola: i salari sono bassi, gli orari di lavoro sono estenuanti e le tutele sociali sono scarse. Ora, con i marchi occidentali in ritirata e gli ordini in calo, questa ancora di salvezza si sta rapidamente esaurendo. Eppure, già prima dei dazi di aprile, i segnali di tensione erano evidenti. All’inizio del 2025, le esportazioni tessili cinesi erano già diminuite del 4,5% su base annua. Ora, i dazi stanno accentuando drasticamente questo calo, “mettendo a rischio - sostiene il sito cinese - i mezzi di sussistenza di innumerevoli lavoratori”. L’industria dell’abbigliamento incarna molte delle più marcate contraddizioni della globalizzazione. È un settore ad alta intensità di manodopera e noto per le sue pessime condizioni di lavoro, tra cui bassi salari, straordinari eccessivi e scarse tutele del lavoro. Inoltre, la produzione di abbigliamento è particolarmente soggetta a delocalizzazione, poiché i marchi internazionali ricercano costi inferiori, spostandosi facilmente da un paese all’altro. Questa flessibilità amplifica l’impatto delle controversie commerciali, esacerbando le vulnerabilità esistenti tra i lavoratori dell’abbigliamento, molti dei quali sono migranti rurali con alternative limitate. Analisi condivise dai proprietari di fabbriche di abbigliamento sui social media e raccolte da Clb rivelano che, rispetto al mercato interno - caratterizzato da una forte concorrenza, mancanza di fiducia, frequenti ritardi nei pagamenti e ordini instabili - le aziende impegnate nell’export hanno storicamente mantenuto ordini e ricavi più stabili. Questa stabilità ha garantito una sicurezza finanziaria essenziale a milioni di lavoratori dell'abbigliamento e alle loro famiglie. Tuttavia, la recente guerra commerciale ha colpito in modo diverso diverse tipologie di aziende, aggravando l’incertezza nel settore. Inoltre l’offshoring, un tempo la via di fuga preferita dal settore, è diventato un vicolo cieco. Shenzhou International, fornitore chiave di Nike e Adidas, ha visto le sue azioni quotate a Hong Kong scendere del 14%, il calo più netto dal 2008. Huali Group, leader mondiale nella produzione Oem di scarpe sportive per marchi come Nike e Skechers, prevede di trasferire la capacità produttiva in Vietnam. Fonti online affermano che uno dei suoi stabilimenti a Zhongshan ha licenziato l’80% della sua forza lavoro. Il 9 aprile, Trump aveva annunciato una sospensione di 90 giorni dei dazi reciproci per tutti i paesi interessati, ad eccezione della Cina. Questo cambio di politica ha concesso alle grandi aziende un margine di manovra cruciale, consentendo loro di mitigare le perdite e riorganizzare temporaneamente la produzione attraverso la continua delocalizzazione. Tuttavia, mentre i grandi produttori sfruttano questa breve tregua per adeguare le loro catene di approvvigionamento globali, i fornitori più piccoli non hanno questa flessibilità e hanno subito gravi e immediati impatti. Per migliaia di piccole fabbriche (spesso in pratica subfornitori di quelle grandi), i nuovi dazi hanno innescato un’emergenza. A differenza dei colossi del settore con attività all’estero e una clientela diversificata, questi subappaltatori sono estremamente vulnerabili a brusche cancellazioni di ordini e blocchi della produzione. Il risultato è stato un’ondata di chiusure improvvise che si sta riversando sull’industria tessile cinese. La Strike Map di Clb ha registrato cinque incidenti collettivi tra i lavoratori nel settore dell’abbigliamento solo ad aprile, un numero che non lascia intuire l’entità del disagio. Sui social media proliferano storie di fabbriche chiuse e salari non pagati. In sole tre settimane, Clb ha monitorato 29 casi di lavoratori dell’abbigliamento che lamentavano pubblicamente licenziamenti improvvisi. Video online mostrano cancelli di fabbriche chiusi e reparti deserti. “Quest’anno è troppo difficile: una fabbrica con 200 lavoratori ha chiuso da un giorno all’altro; il capo ha venduto tutte le attrezzature”, dice un uomo, con incredulità impressa nella voce mentre filma lo stabilimento chiuso. In un’altra clip, una donna cammina in un’officina silenziosa: “Questa fabbrica ha funzionato per oltre 20 anni. Ora le linee di produzione si sono fermate completamente... stiamo solo seduti qui ad aspettare di perdere soldi”. Forse il più inquietante è stato il post di una giovane lavoratrice migrante del Guizhou, che si era recata nella zona costiera dello Zhejiang per lavoro, ritrovandosi poi senza un soldo e alla deriva dopo la chiusura della sua fabbrica ad aprile. Filmando il suo misero pasto, si lamenta: “Ho speso 3 yuan per un pasto, presto non potrò nemmeno permettermelo. Non voglio rimanere nello Zhejiang, ma non posso tornare nel Guizhou... Dove posso andare ora?”. Il suo post ha suscitato oltre 3.000 commenti simili da parte di lavoratori che vivono difficoltà analoghe. Il video di un operaio tessile disoccupato ha suscitato oltre 3.000 commenti simili.
Raffaella Vitulano