Territorio, persona, mutualità. Il credito cooperativo non rappresenta solo un pilastro della nostra economia, ma incarna un sistema di valori “altro” rispetto alla logica interna al modello economico dominante, fondato sul concetto di razionalità strumentale e teso all’obiettivo della massimizzazione dell’utilità.
L’azionista è il sovrano delle banche, loro compito è remunerare il capitale; gli strumenti per farlo sono teoricamente illimitati, come illimitati - sempre in teoria - sono il numero dei clienti e le dimensioni del mercato a cui esse si rivolgono.
Sovrani, per le Bcc, sono i soci, ai quali primariamente va destinato il credito. Il mercato cui guardano è limitato: i prestiti vanno concentrati al 95% sui territori di insediamento.
Senza queste considerazioni non si comprende perché First Cisl abbia voluto dedicare al credito cooperativo una lunga campagna, cominciata nel marzo scorso con un’iniziativa a livello nazionale (la tavola rotonda “Il credito cooperativo tra Europa e coesione territoriale”) alla quale hanno partecipato il segretario generale di First Cisl Riccardo Colombani, il presidente di Federcasse Augusto Dell’Erba e l’economista Lucio Lamberti, membro del comitato scientifico della Fondazione Fiba. A questo evento è seguito un “giro d’Italia” che ha attraversato tutto il Paese con una serie di iniziative articolate a livello regionale.
Dai dati elaborati dal Comitato scientifico della Fondazione Fiba emerge che negli ultimi anni il credito cooperativo è stato fondamentale per colmare i vuoti aperti dalla ritirata delle grandi banche dai territori. Dal 1996 al 2019 il numero degli sportelli è cresciuto da 2.589 a 4.236, mentre nel periodo 2003/2019 i comuni italiani che hanno registrato la presenza di una Bcc sono passati da 2.298 a 2.635. Tra il 2003 e il 2019 sono aumentati gli occupati (da 25.183 a 29.087), il patrimonio (da 11,5 a 20 miliardi) e i soci (da 674mila a 1.320mila).
Non mancano tuttavia i nodi critici. Desta preoccupazione in particolar modo il maggior peso acquisito dalle commissioni nette sul margine di intermediazione (dal 20,3% al 30,7% nel periodo 2015/2019). Altro fronte aperto è quello dei crediti deteriorati. Il rapporto tra sofferenze lorde e impieghi alla clientela si è più che dimezzato tra il 2015 e 2019 (passando dall’11,4 al 5,4%). È evidente che negli ultimi anni gli asset deteriorati sono stati ceduti in maniera massiccia sul mercato, con il rischio di rendere la loro gestione non sostenibile socialmente in quanto non esercitata da lavoratori bancari.
Non è un segreto che i cambiamenti che attraversano il mondo del credito cooperativo siano dovuti alla riforma approvata nel 2016 e attuata concretamente nel 2019. “Pur avendo centrato l’obiettivo di dare stabilità al sistema, evitando lo stillicidio di amministrazioni straordinarie, la riforma rischia di snaturare l‘identità cooperativa a mutualità prevalente e senza fini di speculazione privata - sostiene il segretario generale di First Cisl, Riccardo Colombani - La funzione sociale della cooperazione non deve essere condizionata dagli stessi parametri di efficienza e di redditività delle banche non cooperative”.
Che vi sia nell’architettura istituzionale delineata dalla riforma qualcosa da rivedere è convinzione largamente diffusa nel mondo cooperativo, come del resto hanno evidenziato le iniziative di First Cisl sui territori. Ma anche tra le forze politiche sta emergendo la consapevolezza che indebolire le Bcc non è un buon affare né per l’economia né per la tenuta democratica del Paese: “Basta leggere - conclude Colombani - la relazione del Copasir del novembre 2020 sugli asset nazionali strategici dei settori bancari e assicurativi” in cui è scritto che va “risolta l’anomalia legata ai contratti di coesione che, legando ai gruppi bancari cooperativi le singole Bcc, ai fini della vigilanza, determinano per quest’ultime gli stessi adempimenti previsti per le banche di grandi dimensioni”.
Carlo D’Onofrio