Venerdì 17 maggio 2024, ore 6:54

Scenari

Eugenetica finanziaria o sull’involuzione delle élites

In uno dei suoi più recenti articoli Nature si scusa per aver pubblicato diversi articoli dannosi e offensivi, in particolare articoli di Francis Galton, considerato il padre dell’eugenetica moderna. Galton sostenne che l’umanità avrebbe potuto essere migliorata allevando selettivamente quelle che chiamava le persone più degne, intelligenti e di talento. Già nel 1904, Nature pubblicò un articolo in cui affermava di valutare la “distribuzione dei successi e delle capacità naturali” nei membri della famiglia dei membri della Royal Society britannica e concludeva che “devono esistere famiglie eccezionalmente dotate, la cui razza è una risorsa preziosa alla nazione”. Una ideologia che molto probabilmente sottostava al colonialismo. In un editoriale scritto nel 1921 Richard Gregory, che ha guidato la rivista dal 1919 al 1939, affermò che “le razze altamente civilizzate dell’Europa e dell’America hanno secoli di sviluppo alle spalle” e che “le razze meno avanzate, anche di parti d’Europa, come la penisola balcanica, difficilmente si assicureranno questi ideali per qualche tempo a venire”. L’eugenetica è ancora oggi un movimento internazionale sostenuto da alcuni eminenti scienziati e politici. Nature fa contrizione per la sua precedente linea di “imperialismo, sessismo e razzismo”pubblicando ”opinioni offensive, dannose e distruttive, avvolte dal velo della scienza”. “La rivista scientifica, in passato, è stata portavoce di un settore molto privilegiato e altamente esclusivo della società, e in realtà continua a fare la stessa cosa oggi”, afferma Subhadra Das, storico della scienza e scrittore londinese. Nature è stata fondata nel 1869 e progettata per pubblicare i contributi di un club esclusivo di uomini britannici vittoriani che costituivano l’establishment scientifico e mirava esplicitamente a mettere nelle loro mani il controllo delle informazioni. Era mirato a un pubblico di lettori d’élite di uomini istruiti, nonchè a politici. Molte decisioni editoriali venivano prese tra cocktail esclusivi o durante un drink all’Athenaeum, influente club londinese. Ricordiamo che nel 1919 l’Impero britannico copriva circa un quarto della terra e della popolazione mondiale. E tali idee, secondo molti, “gettano ancora un’ombra sulla vita quotidiana nel 21° secolo” afferma il rapporto di un’indagine sulla storia dell’eugenetica all’University College of London (che aveva forti legami con Galton). Oggi l’eugenetica viene applicata anche a diversi settori, perfino quelli economici. Si pensi ad esempio che così come la corsa agli armamenti in chiave difensiva porta inevitabilmente alla guerra, allo stesso modo la corsa agli investimenti “facili” conduce il sistema alla bancarotta. L’era “deviata” dei tassi negativi si appresta così al termine, con un conto assai salato. Sul fronte economico è la visione della Weltanschauung germanica sviluppatasi all’ombra della catechesi luterano-calvinista e imposta anche oggi come filosofia morale. In tale concezione, così come la crescita economica è vista come un’affermazione etica, di contro una recessione viene somatizzata come un insuccesso morale, una colpa. Non a caso, come noto, in tedesco il sostantivo Schuld designa insieme il debito e la colpa. Il debito è colpa e la colpa è debito. L’eugenetica finanziaria peggiora di fronte al debito pubblico, “il debito che tutti devono pagare”. Una visione calvinista che si ammanta dell’ipotesi che tutte le valute legali si stanno avvicinando alla loro inutilità dato che c’è troppo debito non ripagabile ed è per questo che i power broker vogliono un reset. Non ci sarebbe insomma possibilità di salvezza per chi non ha curato da principio la propria “colpa”, il proprio “debito”. L’eugenetica finanziaria verrà applicata alle imprese “malnate e deformi” mantenute artificialmente in vita dal supporto “a pioggia” pandemico e pre-pandemico degli Stati e agli Stati stessi i cui debiti sono stati artificialmente alimentati dalle Banche Centrali? L’unico rimedio attuabile, rimanendo nel lato dell’offerta, non sarebbe dunque - sostengono alcuni analisti - aumentare la “produzione” ma la “produttività” che potremmo rappresentare come moltiplicazione di tre fattori: capitale, qualità dell’azienda, cioè del contesto organizzativo e strumentale e, terzo, impegno dei lavoratori stessi. Come in ogni moltiplicazione, l’azzeramento di uno solo dei fattori porta il risultato a 0. Un programma come la distruzione creativa del G30 - organizzazione internazionale privata formata da trenta tra i più influenti finanzieri ed economisti a livello mondiali creata alla fine degli anni Settanta dalla Fondazione Rockefeller - punta così calvinisticamente sulle aziende in cui la produttività marginale è massima per lasciare al loro destino quelle in cui è minima o addirittura negativa: imprese zombie, aziende decotte, enti parassiti, etc. In pratica, la distruzione di molte pmi. Lungi dall’essere innovativo proponendo le solite “badbank” e una generica ricollocazione dei lavoratori, lo studio evidenzia la tendenza molto pericolosa dell’aumento del cosiddetto corporate debt, il debito delle imprese, ben prima della crisi pandemica, che, ovviamente, lo ha molto esacerbato. Eugeneticamente parlando, spinge a decidere di non mantenere più in vita le strutture improduttive, quanto piuttosto supportare e favorire in ogni modo il trasferimento di capitali e lavoratori da queste ultime a quelle più produttive. La distruzione creativa, detta anche burrasca di Schumpeter, è un concetto delle scienze economiche associato dagli anni cinquanta all’economista austriaco Joseph Schumpeter, che l’ha derivato dal lavoro di Karl Marx rendendola popolare come teoria dell’economia dell’innovazione e del ciclo economico. Difficile essere ottimisti quando dalla crisi del debito sovrano del 2011 nel nostro paese, ad esempio, sono in corso una serie di riforme chieste dalla Bce, tra cui: la piena liberalizzazione dei servizi pubblici e professionali locali attraverso le privatizzazioni; riforma del sistema di contrattazione collettiva; revisione delle norme che disciplinano l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti; rafforzamento dei criteri di ammissibilità alle pensioni; riduzione dei costi del pubblico impiego riducendo gli stipendi. 
Raffaella Vitulano

( 11 ottobre 2022 )

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