Lo smart working in Italia fa un passo indietro rispetto all'inizio della pandemia ma si conferma come strumento di organizzazione del lavoro. Nella seconda metà del 2021, infatti, sono diminuiti gli smart worker: erano 5,37 milioni a marzo, 4,71 milioni a giugno, scesi a 4,07 milioni a settembre. Saranno 4,38 milioni nel post pandemia, con formule ibride: in media 3 giornate “agili” nelle grandi aziende, 2 nelle pubbliche amministrazioni. A settembre sono stati 1,77 milioni i lavoratori agili nelle grandi imprese, 630 mila nelle Pmi, 810 mila nelle microimprese e 860 mila nella PA mentre “progetti di smart working strutturati o informali” sono presenti nell’81% delle grandi imprese (contro il 65% del 2019), nel 53% delle Pmi (nel 2019 erano il 30%) e nel 67% delle PA (contro il 23% pre-Covid). Inoltre, il 55% delle grandi aziende e il 25% delle pubbliche amministrazioni ha avviato interventi di modifica degli spazi dell’organizzazione per adattarli al nuovo modo di lavorare. Per quanto riguarda la prestazioni, le aziende e PA intervistate hanno assicurato “un forte miglioramento del work life balance. Le grandi imprese e le PA evidenziano un deciso miglioramento di efficacia ed efficienza” mentre più incerto e controverso si considera l’impatto nelle Pmi. “L’aspetto ritenuto più negativo – si legge nella ricerca - è quello della comunicazione tra colleghi, peggiorata per il 55% delle grandi imprese, il 44% delle Pmi e il 48% delle PA (a fronte rispettivamente del 10%, 9% e 16% che dichiarano un miglioramento)”. Per quanto riguarda il calo del numero di smart worker, questo va di pari passo con il miglioramento dei dati della pandemia e con il riapertura degli uffici. Ma in linea generale, lo smart working si consoliderà: infatti, secondo i risultati della ricerca dell'Osservatorio Smart Working della School of Management di Milano, “al termine della pandemia le organizzazioni prevedono un aumento degli smart worker rispetto ai numeri registrati a settembre: si prevede saranno 4,38 milioni i lavoratori che opereranno almeno in parte da remoto (+8%), di cui 2,03 milioni nelle grandi imprese, 700 mila delle Pmi, 970 mila nelle microimprese e 680 mila nella PA”. “La pandemia ha accelerato l’evoluzione dei modelli di lavoro verso forme di organizzazione più flessibili e intelligenti e ha cambiato le aspettative di imprese e lavoratori, anche se emergono delle differenze fra le organizzazioni che rischiano di rallentare questa rivoluzione. – afferma Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio smart working - In molte organizzazioni, soprattutto Pmi e PA, si sta però tornando prevalentemente al lavoro in presenza a causa della mancanza di cultura basata sul raggiungimento dei risultati. Un arretramento che si scontra con le aspettative dei lavoratori e gli obiettivi di digitalizzazione, sostenibilità e inclusività del nostro Paese. E’ necessario costruire il futuro smart working come strumento moderno”. Per cogliere i benefici dello smart working serve l’impegno di tutti. – spiega Alessandra Gangai, direttrice della ricerca dello smart working nelle PA - Alle organizzazioni spetta il compito di strutturare progetti coraggiosi, lavorando su policy, tecnologie, spazi di lavoro e stili di leadership; i lavoratori devono allenare skill più adeguate al nuovo work-life balance; i policy maker devono accompagnare questa trasformazione con onestà intellettuale e lungimiranza”.
An. Ben.