Venerdì 26 aprile 2024, ore 0:20

Crisi Ucraina

L’impatto della guerra sull’agroalimentare

La filiera agroalimentare è uno dei settori più colpiti dalla situazione di caro-energia che la guerra in Ucraina sta continuando a peggiorare. Uno tsunami che si è abbattuto a valanga sulle aziende con rincari per gli acquisti di concimi, imballaggi, gasolio, attrezzi e macchinari che stanno mettendo a rischio i profitti delle imprese. L’Italia sconta inoltre una dipendenza strutturale da alcune forniture estere, ad esempio con un tasso di autoapprovvigionamento pari a circa il 60% per il grano duro, 35% per il tenero e 53% per il mais. È quanto emerso dai dati Ismea presentati da Fabio Del Bravo, responsabile della Direzione Servizi per lo Sviluppo Rurale, al seminario “La filiera agroalimentare: analisi e prospettive”, in presenza dei sindacati di categoria e delle parti datoriali dell’artigianato.
Tuttavia, i dati raccontano realtà diverse da molti allarmi rilanciati sui media. Ad esempio, che l’Ucraina sia il granaio d’Europa, è un dato del primo Novecento. “In realtà - ha detto Del Bravo - oggi i Paesi più direttamente dipendenti dall’Est, ad esempio per il grano tenero, sono in Africa e Oriente. Semmai il rischio che corriamo è quello legato alle possibili ripercussioni sociali in questi Paesi, con la possibilità di rivolte sociali e nuovi fluissi migratori”. 
La crisi attuale arriva dopo due anni di instabilità ed è figlia di speculazioni che le imprese agroalimentari possono affrontare soltanto con il supporto del Governo. Analisi, quella dell’Ismea, condivisa dalle parti datoriali dell’artigianato e dai sindacati. 
“Il made in Italy agroalimentare ha saputo resistere soprattutto perché abbiamo un livello qualitativo eccellente, ma non sappiamo fino a quando riusciremo a reggere i colpi del caro energia e delle materie prime, con rincari che impattano ancora di più sulle piccole e micro imprese del comparto artigianale”, ha commentato Francesca Petrini, Presidente nazionale di Cna agroalimentare. 
Mentre Massimo Rivoltini, Presidente di Confartigianato Alimentazione, ha sottolineato: “La sfida oggi è rimanere artigiani in un mondo che cambia, i nostri artigiani sono pronti ma serve una politica che sappia anticipare gli scenari e soprattutto ascoltare di più i corpi intermedi e i territori prima di assumere decisioni”.
Gli addetti del settore artigiano sono quasi 1 milione e 400 mila, il comparto alimentazione e panificazione riguarda 25 mila imprese e oltre 100 mila lavoratori. “Parliamo di un asset strategico per il Paese - ha detto Onofrio Rota, Segretario generale della Fai Cisl - da rilanciare puntando su più autosufficienza, sostenibilità, qualità e innovazione, ma soprattutto su un patto sociale a sostegno di una gestione condivisa del Pnrr per determinare e redistribuire la crescita economica, generare sviluppo sostenibile, buona occupazione, superamento dei divari sociali e territoriali”. Per Giovanni Mininni, segretario generale della Flai Cgil, “il governo dovrebbe intervenire subito con politiche di sostegno, senza preoccuparsi troppo di uno scostamento di bilancio: non vorremmo che i lavoratori essenziali siano i soliti su cui scaricare i costi della crisi”. Mentre per Stefano Mantegazza, segretario generale della Uila Uil, va cambiato il patto di stabilità: “Così come l’Europa ha messo in campo un Recovery plan per uscire dalla pandemia, allo stesso modo dobbiamo pensare a un altro piano per affrontare questa situazione di emergenza, che riguarda l’energia, l’agroalimentare ma anche l’accoglienza dei nuovi profughi generati dalla guerra e dalla crisi economica”.
Rossano Colagrossi
 

( 20 maggio 2022 )

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