Martedì 14 ottobre 2025, ore 5:14

Tecnologia

Transizione digitale delle Pmi in Italia: solo le più grandi riescono ad investire

La digitalizzazione delle Pmi italiane fatica a farsi largo. In diverse occasioni abbiamo sottolineato i passi avanti che lo scheletro più importante del sistema industriale e manifatturiero del paese sta facendo per agganciare la transizione. Un sistema paese consolidato: "circa 250 mila piccole e medie imprese sono in grado di produrre intorno al 40% del fatturato nazionale e di assorbire oltre il 30% della forza lavoro: ”numeri che fanno comprendere non solo l’importanza del ruolo giocato dalle Pmi in Italia, ma anche l’attenzione che il Paese deve loro dedicare per salvaguardare questo patrimonio economico e sociale”. Tre i comparti più importanti. Il settore agro-alimentare è il più numeroso, con 54 mila imprese attive e il 49% del fatturato complessivo di filiera, con una media di circa 18 addetti per impresa. L’arredamento vede 8 mila Pmi attive, rappresenta la metà degli oltre 37 miliardi dell’intera filiera con 23 addetti medi per impresa. La moda, invece, presenta 19 mila imprese attive con un fatturato medio di 3,9 milioni di euro e circa 22 addetti per impresa. Eppure, nonostante questa vitalità anche in termini di volume di esportazioni, i dati prodotti dall’Osservatorio dell' Innovazione Digitale nelle Pmi raffredda adesso l’entusiasmo sul fronte della capacità di innovazione e transizione tecnologica e digitale. Infatti, se di innovazione possiamo parlare, questa riguarda le Pmi dalle dimensioni più grandi, le cosiddette Pmi large: ebbene, dai dati rilevati, in Italia, il digitale è un punto di forza per le Pmi con un fatturato sopra i 50 milioni di euro ovvero con un numero dipendenti superiore a 250. E ribattezzate ”large”. Diverso il discorso per le Pmi “tipiche”, quelle con fatturato e occupati più bassi. In questo caso, il 71% mostra un profilo “convinto” o “avanzato”, rispetto al 50% delle PMI in senso stretto. Il problema però, in linea generale, è che ”il digitale è considerato come un costo solo dal 2% delle Large (rispetto al 16% delle Pmi) mentre, per il 61%, è lo strumento cardine per costruire il futuro dell’azienda (rispetto al 35% delle Pmi). In entrambe le categorie, però, risulta ancora carente l’attività di formazione svolta per i dipendenti e per il management. ”Troppo spesso sentiamo parlare di arretratezza delle imprese, di scarsa cultura digitale degli imprenditori, di visioni poco evolute. - spiega Claudio Rorato, direttore dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle Pmi - L’imprenditore si concentra più sul prodotto che sulla gestione e la programmazione, più sulla quotidianità che sulla pianificazione e la gestione del cambiamento. Le associazioni di categoria, le filiere, le supply chain, gli istituti finanziari, la classe politica, la pubblica amministrazione, gli hub territoriali per lo sviluppo digitale devono fare la loro parte per creare le condizioni che permettano di fare impresa. Solo a quel punto, le responsabilità individuali di fare o non fare potranno essere attribuite alle singole organizzazioni”.
An. Ben. 

( 20 giugno 2022 )

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