Martedì 1 luglio 2025, ore 2:40

Come sarà il nostro futuro?

di STEFANO PETRUCCI

Il 2020 è appena alle spalle, non le ferite che ha ferocemente aperto. Porteremo addosso a lungo le cicatrici di questa pandemia non ancora risolta che ha già tolto la vita a oltre un milione e ottocentomila persone e messo in ginocchio l’economia del pianeta: la ricchezza globale si è ridotta di quasi settemila e cinquecento miliardi di dollari, poco meno di 1500 dollari per adulto. Siamo tutti più poveri, più deboli, più smarriti. Nel giro di qualche mese riusciremo a tornare a essere almeno un po’ più felici e più fiduciosi? È il grande interrogativo del nuovo anno che con i nostri brindisi abbiamo salutato da pochi giorni con la speranza, se non la certezza, che sarà in ogni caso migliore di quello che si è finalmente concluso. Da settimane scienziati, medici, politici, economisti, studiosi di scienze sociali si sforzano di accompagnarci sulla strada dell’ottimismo: il vaccino anti-Covid 19 è una realtà, le norme e i sistemi per contenere il virus sono entrati nella nostra quotidianità, le terapie per debellare il mostro invisibile e famelico che ci aggredisce da più di dieci mesi sono state raffinate. Sulla carta insomma il 2021 dovrebbe davvero stabilire record inimmaginabili, in negativo, per proporci scenari anche solo simili a quelli con i quali abbiamo convissuto e, in qualche caso, continuiamo a convivere.
Ma come sarà, poi, il nostro futuro? Soprattutto cosa potremo fare, al di là degli antidoti prodotti dai colossi della farmaceutica e delle oggettive capacità degli operatori sanitari, per fare in modo che il coronavirus si trasformi davvero da incubo a ricordo lugubre, al pari di una guerra, di un massacro terroristico, di una calamità naturale? Quali dovranno essere, da subito, i comportamenti collettivi e individuali utili ad aggiungere ogni giorno un mattone al grande castello della stabilità, dell’equilibrio, della serenità? Colpiscono in questo senso le parole di Ilaria Capua, virologa, ricercatrice, docente universitaria, da mesi attenta osservatrice del fenomeno che ha sconvolto le nostre vite. “La pandemia del 2020 ha affermato prepotentemente l’importanza della salute nella società e ci ha messo di fronte a un’opportunità unica: quella di ripensarla in una prospettiva più ampia e più sostenibile. L’unica strada che abbiamo per non ricadere nella tragedia dalla quale stiamo lentamente riemergendo è quella della prevenzione. Riusciremo a percorrerla solo nella consapevolezza che viviamo all’interno di un sistema circolare e integrato di cui fanno parte persone, animali, piante: in generale, l’ambiente in cui tutti siamo immersi. Non ci sono gli individui e le comunità, non c’è solo la specie umana da preservare: la salute del pianeta e di tutti i suoi abitanti deve avere pari dignità, se vogliamo creare un ecosistema sostenibile, resiliente e durevole”.
E’ l’idea degli antichi medici greci, che consideravano l’uomo nella sua dimensione ambientale, biologica e sociale, e studiavano la natura per comprendere le condizioni di salute e le malattie. L’analisi dell’organismo animale e umano era basata già allora, ai tempi di Ippocrate, sulla combinazione degli elementi che danno vita al cosmo. Terra, acqua, fuoco, aria: la salute era definita come equilibrio degli elementi primi, mentre la malattia segnalava appunto il disquilibrio. Dobbiamo ripensare i nostri comportamenti in quest’ottica, costruendo ad esempio il futuro su nuove forme di agricoltura e di allevamento, visto che ci cibiamo di alimenti di origine animale e vegetale; sulla salvaguardia dell’acqua, l’oro blù che continuiamo a sprecare sconsideratamente; sulla protezione degli oceani, tormentati dai veleni che vi riversiamo, la plastica su tutti, e dalla pesca fuori controllo; sulla protezione e il rafforzamento dei nostri polmoni verdi, le foreste, da quelle dell’Amazzonia in giù (perdiamo 20 milioni di ettari all’anno, in pochi decenni abbiamo dimezzato il numero di piante presenti sul pianeta); sulla pulizia dell’aria, che non a caso è diventata più respirabile nei giorni pure amari del lockdown, quando è stato imposta una brusca frenata a tutti i vettori dell’inquinamento.
Proprio quei giorni, riattraversati con mestizia anche in occasione delle festività di fine anno, possono farci da bussola. “Accanto alle situazioni oggettivamente drammatiche, molti hanno cominciato a trarre insegnamenti positivi, a immaginare un nuovo sviluppo. La pandemia può essere vissuta come un momento zero per ripartire su basi diverse. Per le nuove generazioni, in particolare, ci sarà un prima e un dopo, ma più che l’apocalisse vedo sguardi proiettati verso il futuro, la voglia di ricominciare, magari senza ripetere per forza gli stessi errori”. Questo non lo ha detto la professoressa Capua, ma Michel Bussi, lo scrittore oggi più venduto in Francia. Triste e pericoloso sarebbe tornare a vivere esattamente come facevamo prima. Il progetto vincente del 2021 e degli anni che verranno non può essere il ritorno al come eravamo. Bisogna voltare pagina, ripensare tutto per non ricadere nella trappola che ha innescato la pandemia. Impossibile dimenticare le straordinarie parole di papa Francesco, nella fase più cruda del lockdown, solo di fronte a miliardi di telespettatori nel deserto di San Pietro nel giovedì di Pasqua, per la celebrazione che ricorda l’ultima cena: “Ci siamo illusi di poter vivere da sani in un mondo malato”. Il futuro passa di qui, dicono per una volta a una voce il pontefice e gli scienziati, ed è il più grande messaggio di un 2021 da trasformare in una straordinaria occasione di ripartenza: la nostra salute e la nostra vita sono la salute e la vita del nostro pianeta.

( 11 gennaio 2021 )

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