Io Gesualdo Bufalino ho avuto la fortuna, sì la fortuna, di conoscerlo. Era il lontano 1981, Premio Campiello di Venezia. Alto, curvo, inesorabilmente avviato verso la calvizie, Bufalino era considerato quasi un intruso. I favoriti era altri: nomi già conosciuti come quelli di Tonino Guerra e Anna Banti, per citarne soltanto un paio.
Invece il premio andò alla “Diceria dell’untore”, straordinaria opera prima del sessantunenne siciliano Bufalino che soltanto grazie alle spinte e gli incoraggiamenti di Leonardo Sciascia e di Elvira Sellerio aveva accettato di uscire dall’ombra e mettersi in gioco. Era un tipo molto schivo il professor Gesualdo Bufalino.
Ricordo che quando riuscii ad avvicinarlo per l’intervista di rito mi diede l’impressione di essere in imbarazzo. E dovetti insistere per sapere che era nato a Comiso, in provincia di Ragusa, nel novembre del 1920 e di lì non si era quasi mai mosso. Affascinato dai libri mi disse che aveva cominciato presto a divorarli, creando inconsciamente le fondamenta del suo futuro di scrittore.Ma erano anni duri, in Italia e c’era poco tempo per coltivare le proprie passioni.
Nel 1940 Bufalino si iscrisse alla facoltà di lettere e filosofia dell’università di Catania, ma due anni dopo la patria lo chiamò alle armi.
Bufalino si ritrovò a combattere in Friuli, venne catturato dai tedeschi dopo l’armistizio e per fortuna riuscì a scappare e tornare in Italia. Ma le disgrazie non erano terminate. Tutt’altro. Nel 1944 Bufalino si ammalò di tubercolosi e furono due anni di sofferenza e ricoveri in diversi ospedali. Ma, detto a posteriori, la tisi doveva rivelarsi propizia perché offrì al grande scrittore siciliano lo spunto per quella “Diceria dell’untore” già citata che gli avrebbe fatto vincere il Premio Campiello.
L’inattesa vittoria fece finalmente conoscere Bufalino ed ecco allora gli altri suoi straordinari libri. Primo fra tutti “Le menzogne della notte” che nel 1988 vinse lo Strega. È il geniale racconto di quattro condannati a morte che il giorno prima di essere decapitati vengono invitati a confessare finalmente le loro colpe. Chi dimostrerà di dire la verità sarà graziato. I quattro ci pensano tutta notte e il titolo del libro vi fa capire come finirà la storia.
Poi “Museo d’ombre”, “Qui pro quo”, “Tommaso e il fotografo cieco”, “Bluff di parole”, “Argo il cieco” e altri ancora. Una produzione intensa, sorprendente per uno scrittore che aveva esordito alla bellezza di 61 anni. E chissà quanti altri capolavori ci avrebbe regalato se il 14 giugno del 1996 non fosse rimasto vittima di un incidente stradale (era lui alla guida di una Fiat 127) mentre tornava da Vittoria a Comiso dove l’aspettava la moglie Giovanna Leggio, una sua vecchia allieva sposata un anno dopo la vittoria del Campiello.