L’ importanza del settore alimentare è attestata dalle diverse arti a questo destinate: quella dei biavaroli, venditori di cereali e legumi; dei ternieri e casaroli, venditori di olio, miele, formaggi, carni suine fresche e salate; dei compravendi pesce; dei gallineri e buttiranti, venditori di polli, galline, oche, cacciagione, uova e burro; dei forneri o venditori di pane. A questi si univano poi i mercanti da vino, che veniva acquistato in diversi tipi di osterie e immagazzinato soprattutto a Rialto”. La storia che si impara a scuola è, spesso, un lungo elenco di nomi di re, papi, generali, date di trattati, battaglie, manovre politiche, che con il passare degli anni si perde nella memoria. Ma re, papi e generali vivevano nel loro tempo e non c’è modo migliore di inquadrare e capire gli eventi che hanno “ fatto epoca” se non immergendosi nella quotidianità, alla scoperta dei fatti più minuti, degli usi e dei costumi, della mentalità corrente. E’ quanto ha fatto Giorgio Ravegnani con il libro “ La vita a Venezia nel Medioevo” ( Il Mulino), da cui è tratto il brano all’inizio dell’articolo. L’autore, già docente di Storia medievale e Storia dell’Italia bizantina presso l’Università Ca’ Foscari, dopo due capitoli introduttivi sulle origini bizantine della città e sulla figura del doge, conduce il lettore fra le calli, i ponti, i campi, le piazze, i canali, nelle chiese, nei palazzi, nelle case, per scoprire come funzionavano il matrimonio e la famiglia, che ruolo avevano le donne, come erano organizzate la giustizia, le scuole, la pulizia delle strade, in che modo venivano accolti i pellegrini, qual era l’atteggiamento verso la prostituzione. E ancora cosa mangiavano i veneziani, sia nobili che popolani, che mestieri facevano, come si spostavano, vestivano e divertivano ( le feste, soprattutto religiose, erano numerose, mentre risale al 1094 la prima citazione documentata del carnevale). Un capitolo interessante è dedicato alle calamità naturali:
a parte due fenomeni piuttosto ricorrenti come l’acqua alta e gli incendi, l’annus horribilis fu il 1348, quando la città venne colpita da un rovinoso terremoto ( che secondo i cronisti di allora distrusse mille case e diversi campanili) e da una terribile epidemia di peste portata dalle navi mercantili provenienti dall’Oriente: “ Il propagarsi della malattia – scrive Ravegnani -, che nessuno risparmiava, né poveri né ricchi, suscitò il terrore e chi ne aveva la possibilità cercava salvezza nella fuga fuori dalla città… persino i medici non solo non visitavano alcuno, ma fuggivano tra i primi. Chi invece era costretto a restare, viveva in una città spettrale, ridotta a un cimitero a cielo aperto”.