"Vedrai una città regale, addossata ad una collina alpestre, superba per uomini e per mura, il cui solo aspetto la indica signora del mare". Così Petrarca decantava la città di Genova in una sua relazione di viaggio del 1358. Ora a Roma, dal 26 marzo e fino al 3 luglio, presso le Scuderie del Quirinale, la Superba è la protagonista di una mostra che racconta la magnificenza del barocco genovese e per esso il peso e la centralità della città che vantava antichissima gloria. In collaborazione con la National Gallery di Washington il percorso espositivo è stato progettato e curato da Jonathan Bober, Piero Boccardo e dallo storico dell’arte Franco Boggero.
Centoventi opere raccontano il periodo di maggiore luce della storia di Genova, tra il XVII e XVIII secolo quando la città raggiunse ricchezza, prestigio e fama per la bellezza che produsse, protesse e rappresentò. Genova è in questa mostra raccontata dal bizzarro linguaggio barocco che esalta, impressiona, seduce e conquista. Da Rubens a Van Dyck, da Grechetto a Magnasco tutto svela il volto elegantissimo, aristocratico della città attraverso i volti dei protagonisti della politica e della cultura genovese che ostentano la fiera consapevolezza di appartenere ad un’età felice, opulenta e pretenziosa.
Genova nella Storia ha dato i suoi figli più illustri per la costituzione di una élite europea, e, destinata ad essere una repubblica aristocratica solo fino al 1797, quando Napoleone la prese trasformandola in repubblica ligure, si espresse nelle scelte e nelle pose della sua nobiltà che brillò attraverso i nomi eccellenti e il contegno dei Doria, i Marino, i Giustiniani, i Cattaneo. L’intrepi dezza e il coraggio avevano portato nei secoli queste famiglie a guadagnare fasto e ruoli determinanti nella politica italiana e europea. Il Seicento fu il secolo in cui l’Arte avrebbe dovuto celebrare i successi di tutte quelle famiglie che furono esempio di illuminato mecenatismo e specchio di virtù. Dalla seconda metà del Cinquecento v’è un notevole interesse per le ricostruzioni genealogiche e si rileva una sensibile fioritura di ricerche commissionate ad eruditi specialisti ai quali viene richiesto di dimostrare l’antichità dei casati nobili. L’aristocrazia sente sempre più il bisogno di individuare una ascendenza leggendaria e di legittimare il suo ‘posto’ all’interno della società. Il Barocco dunque giunge in un momento propizio per chi vuole promuovere la sua immagine ricca, solenne, gioiosa, eccentrica. Dalla fine del Seicento, l’aggettivo francese baroque, tratto dal portoghese barroco (irregolare, riferito alla forma della perla scaramazza), acquisì il senso generico di «stravagante », «bizzarro ». Larghissima fu l’in fluenza del Barocco sul gusto e sulla visione del mondo nel XVII secolo perché assorbe ed esprime il bisogno di disimpegnata fantasia di una società edonistica e pronta a incidere con audacia sulla realtà e compiacersi della meraviglia che cerca e crea.
Nel 1621 giunse in Italia, da Anversa, il giovane e già affermato pittore fiammingo Antoon van Dyck. La ragione del suo viaggio era quella di studiare i grandi maestri italiani per perfezionare e arricchire la sua produzione artistica, ma anche trovare nuove e gratificanti commesse. Introdotto nell’ambiente genovese dalla comunità di artisti fiamminghi che operavano con successo nel territorio e dal suo maestro Peter Paul Rubens, egli si trovò a essere l’ar tista atteso in una città fiorente e dal passato prestigioso. L’arrivo di van Dyck coincise con l’apice della potenza raggiunta ad esempio dai Brignole, che sentivano l’e sigenza di promuovere la propria immagine in un preciso e delineato programma di valorizzazione e divulgazione del prestigio raggiunto nella città e dalla città in Europa. Giovan Francesco, pertanto, non si lasciò sfuggire l’occa sione di vedere raffigurati, in ritratti a figura intera, gli esponenti della sua famiglia: la moglie Geronima insieme alla figlia Aurelia nonché il suo primogenito Anton Giulio e la sua bella consorte Paolina Adorno con una rosa rossa in mano pronta a sfiorire. Tuttavia si ipotizza che van Dyck possa aver allacciato rapporti con alcune delle famiglie dell'alta borghesia e del patriziato genovese già ad Anversa, prima di recarsi in Italia; una di esse potrebbe essere proprio la famiglia Cattaneo, attiva nel commercio tessile. Questo spiega forse perché van Dyck sceglie di introdursi proprio a Genova, dove più volte aveva soggiornato il suo maestro Rubens. Quello di Elena Grimaldi Cattaneo (nata Grimaldi e poi andata in sposa a Giacomo Cattaneo) è considerato uno dei primi ritratti eseguiti da van Dyck a Genova nel 1623 e ciò sia per ragioni stilistiche sia perché, come si diceva, i Cattaneo potrebbero essere una delle famiglie genovesi con la quale il pittore poteva aver avuto contatti già nelle Fiandre. Probabile committente dell'opera fu il marito della dama effigiata, come lascia pensare tra l'altro la circostanza che van Dyck, presumibilmente nell'ambito della stessa commissione, realizzò anche i ritratti dei due figli bambini di Elena Grimaldi Cattaneo (Maddalena e Filippo) che erano collocati ai lati della tela che ritraeva la donna. Il dipinto a figura intera è uno dei più belli della mostra (e trova il suo modello ideale nella Lavinia del Tiziano), in cui uno schiavo nero testimonia le ragioni della ricchezza della economia genovese, rimase in possesso della famiglia Cattaneo sino al 1906, quando fu collocato sul mercato antiquario lasciando così l'Italia. Dopo vari passaggi di proprietà l'opera fu infine donata, nel 1942, al Museo di Washington sua sede attuale.
Come già detto sopra Rubens soggiornò più volte a Genova: fu infatti nel capoluogo ligure una prima volta nel febbraio del 1604, sulla via di ritorno dalla Spagna a Mantova, lavorando per i Gonzaga, quindi tornò nel 1605 sostando durante un viaggio che lo portava a Roma, e ancora vi fece ritorno nell’estate del 1607, quando soggiornò presso la villa del nobile Giovanni Battista Grimaldi a Sampierdarena, assieme al duca di Mantova, Vincenzo I Gonzaga. Durante quest’ultima permanenza Rubens ebbe anche l’occasione di studiare, per primo tra gli artisti della sua generazione, l’Arte italiana e da vicino i più bei palazzi della città, tanto da arrivare, nel 1622, a pubblicare un poderoso volume, per far conoscere anche nelle sue Fiandre la magnificenza dell’architettura genovese. Ovviamente, durante i suoi soggiorni, Rubens ebbe modo di realizzare anche diversi dipinti per la nobiltà genovese, e alcune di queste opere si trovano ancora custodite dalla città. Il percorso espositivo conduce il visitatore subito di fronte ad una tela che giganteggia su una delle pareti bordeaux delle Scuderie del Quirinale: è il ritratto equestre di Giovanni Carlo Doria. È forse uno dei ritratti più noti di Rubens, nonché uno dei pezzi di maggior pregio della Galleria Nazionale di Palazzo Spinola. La famiglia Doria commissionò questo ritratto a Rubens nel 1606 per celebrare il conferimento dell’Or dine di San Giacomo, da parte del re Filippo III di Spagna, a Giovanni Carlo: il dipinto rimase dunque di proprietà della famiglia fino al 1838, quando passò al ramo napoletano del casato. Nel 1940 fu acquistato da una collezionista privata che nel 1941, per ordine di Mussolini, dovette cederlo a Hitler, che lo destinò al Museo di Linz, in Austria. Nel 1948 l’opera fu restituita all’I - talia: fu esposta dapprima a Palazzo Vecchio, quindi nel 1985 arrivò al Museo Nazionale di Capodimonte di Napoli e infine, nel 1988, fece ritorno definitivo a Genova. È un meraviglioso exemplum del linguaggio barocco, perché questo quadro vuole ‘impres sionare’ chi lo ammira ai piedi di un uomo in trionfo con le insegne dell’Or dine di San Giacomo della Spada.
Dopo la partenza di van Dyck fu il genovese Grechetto a esercitare una significativa influenza su numerosi artisti e uomini di cultura della città. Dopo essere stato sedotto egli stesso dallo stile di Poussin e del pittore fiammingo, Giovanni Benedetto Castiglione recupera i miti e il verbo del classicismo per rispondere alle aspettative dei suoi signori che nutrivano sogni di grandezza e volevano ritrovarli nell’Arte. È il Magnasco l’ultimo artista che temporalmente con la sua opera chiude l’età della fortuna del barocco genovese che si protrae fino alla prima metà del XVIII secolo.
“La magnificenza dei suoi palazzi, delle case e delle chiese le hanno incontestabilmente meritato il titolo di La Superba”. Così come il Petrarca anche lo scrittore francese Aubry de La Motraye si riferisce a Genova, scrivendone nel 1723, con lo stesso aggettivo che oggi in un efficace calembour di parole dà il nome a questa mostra che vuole finalmente allargare lo sguardo di chi inscrive la più felice fortuna del Barocco nella sola città di Roma alle prestigiose esperienze artistiche e sociali di Genova, la Superba.