Frediano Sessi è uno degli storici della Shoah più preparati e apprezzati. Allo sterminio sistematico degli ebrei ideato e organizzato dai nazisti (con la complicità, in Italia, del regime fascista) ha dedicato numerosi libri, andando anche a cercare storie meno note e rivolgendosi spesso alle generazioni più giovani. Ora è in libreria con “Auschwitz, storia e memorie” (Marsilio), un volume di 600 pagine che sistematizza tanti anni di lavoro, introducendo alcuni elementi di novità.
Cosa rappresenta Auschwitz?
Auschwitz è il simbolo della Shoah, del male radicale e dell’abisso in cui i tedeschi hanno precipitato l’Europa tra il 1940 e il 1945. Un simbolo forte tanto che nel 2019 il campo e il museo sono stati visitati da 2 milioni e 300mila persone. Rispetto ad altre realtà è anomalo perché non è un lager, ma una regione concentrazionaria, ovvero un sistema costituito da tre campi principali: Auschwitz I, costruito per primo, quello con all’ingresso la scritta “Arbeit macht frei” (“Il lavoro rende liberi”); Auschwitz II, Birkenau, dove sono stati sterminati gli ebrei provenienti dall’Europa dell’Ovest; quindi Monowitz, realizzato intorno alla fabbrica Ig Farben, che produceva benzina e gomma sintetiche utilizzando anche il lavoro degli ebrei, e dove venne deportato Primo Levi: attorno a questa struttura i nazisti edificarono più di 40 sotto-campi di lavoro, nei settori agricolo, chimico e minerario. Poco lontano sorgeva poi la città, con il nome polacco di Oswiecim. Il campo è nato per la rieducazione dei polacchi oppositori al nazismo, ma si è via via ampliato nel tempo e ha cambiato funzioni per decisione del capo delle SS Himmler: il sito era facilmente collegabile per via ferroviaria e fluviale, ma nel contempo isolato, lontano, difficile da raggiungere per gli aerei alleati, e quindi qui si potevano “fare cose” che altrove avrebbero dato troppo nell’occhio. Ma è solo a partire dagli anni ’90, superato il conflitto di memoria fra polacchi ed ebrei, che ha assunto questa dimensione simbolica. Oggi è considerato il più grande cimitero ebraico al mondo. Un cimitero di ceneri.
Quante persone sono state deportate e assassinate ad Auschwitz?
Qui sono stati reclusi 1.250.000 prigionieri. Di questi, 1 milione e 100mila erano ebrei: solo una minoranza si è salvata, le vittime ebree sono state infatti 965mila e solo una parte è stata registrata, cioè selezionata per entrare a lavorare nel campo per un certo periodo, prima di essere uccisa: intorno ai 100mila. Ben 865mila, arrivati con i treni sulla rampa ferroviaria di Birkenau, dopo giorni di viaggio in condizioni impossibili, sono stati inviati direttamente alle camere a gas. Auschwitz è il luogo di sterminio che ha ricevuto il più alto numero di deportati. Soltanto fra i bambini, in prevalenza ebrei, si contano 260mila vittime. Alle persone morte nel campo, bisogna poi aggiungere le migliaia scomparse successivamente a causa delle percosse e delle cattive condizioni di salute provocate dalla detenzione. Per quanto riguarda l’Italia, dei circa 8.600 ebrei connazionali deportati qui, pochissimi sono riusciti a tornare a casa. E al di là della retorica degli “italiani brava gente”, è noto che il ruolo dei fascisti negli arresti e nelle delazioni fu fondamentale.
In pochi, a guerra finita, hanno pagato per le loro colpe…
E’ vero, dei 7mila carcerieri di Auschwitz solo un centinaio ha subito un processo e pochi sono stati condannati. I nazisti che hanno ucciso e partecipato direttamente ai crimini sono sfuggiti ad una contabilità della coscienza proprio perché questi stessi crimini sono il frutto di un percorso culturale, profondo, preparato e attuato dal regime hitleriano, che ha modificato il senso morale dei tedeschi. Studi recenti hanno mostrato il processo che ha condotto tanti uomini comuni a diventare criminali, per poi nascondersi nel dopoguerra senza ammettere le proprie colpe. I nazisti che mandavano gli ebrei alle camere a gas erano stati plasmati da una ideologia che diceva loro che non stavano uccidendo degli uomini, ma dei sotto-uomini che avvelenavano il corpo sano del popolo ariano, e quindi era giusto ciò che facevano.
Che cosa sanno i giovani della Shoah?
Spesso conoscono la Shoah per linee generali e traggono considerazioni pessimistiche sulla natura malvagia dell'essere umano. Nei miei libri ho ricostruito i passaggi graduali, legati all'ideologia totalitaria e razzista di Hitler, ma soprattutto all'utopia di una “Nuova Europa ariana”, che è alla base di tutto il progetto di sterminio. Come ho appena accennato, l'antisemitismo nazista, inserito nell’idea di un nuovo mondo liberato da tutti gli inadatti, dagli esseri inferiori e non perfetti (ebrei, ma anche disabili, omosessuali, malati cronici o psichici, nemici del Reich…), arrivò fino all'estremo risultato del genocidio, attraverso passaggi lenti. Il primo fu la xenofobia, la paura dell'altro, dell’impuro; il secondo, il razzismo diffuso e condiviso dalla popolazione. Gli altri gradini della scala che ha portato alla guerra e alle uccisioni di massa furono una conseguenza del progetto che prevedeva la nascita di una Germania forte e purificata e di una nuova Europa ariana. Gli ebrei erano considerati dai nazisti fra i gruppi di popolazione che non potevano fare parte del loro nuovo mondo millenario.Jan Karski L'uomo che scoprì l'Olocausto
Guarda il video Jan Karski L'uomo che scoprì l'Olocausto
Qual è oggi il sentimento verso la Shoah?
Penso che le ricostruzioni della Shoah che circolano siano molto assolutorie per tutti noi. In fondo chi si riconosce oggi nel nazista o nel fascista capace di uccidere a sangue freddo donne, uomini e bambini? Questo rischia così di allontanare l’idea che un simile evento possa ripetersi, in altre forme e in altri modi. Capire, invece, come ci si sia arrivati attraverso tappe graduali, che nemmeno gli esecutori seppero prevedere, ci mette nella condizione di leggere i segnali di pericolo. Scrive Primo Levi: "A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che ogni straniero è nemico. Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come un'infezione latente; si manifesta in atti saltuari e incoordinati, e non sta all'origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene allora al termine della catena, sta il Lager". Levi aveva capito che all'uomo comune è possibile questa terribile avventura. A noi oggi serve una lettura non rassicurante della Shoah che ci faccia piangere e commuovere, magari ripetere "mai più". Dobbiamo comprendere che quel male radicale che ha prodotto quella storia può ancora diventare parte delle nostre scelte sociali e politiche.
La scuola fa abbastanza?
So che molti insegnanti si spendono generosamente per trasmettere conoscenza e pratiche quotidiane (come l'altruismo, la solidarietà e altro) in grado di formare gli studenti a una cultura della responsabilità. Però questi stessi insegnanti si lamentano spesso dei programmi scolastici e delle riforme che tendono a dare poco peso alla contemporaneità e alla storia del Novecento. Si potrebbe fare di più.
Che cosa direbbe a chi insulta sui social testimoni come Liliana Segre?
Forse non meritano l'attenzione che viene data loro. Il fenomeno degli insulti via social nasconde un pensiero di odio, ma anche un disagio. Credo che la signora Segre sappia che queste persone non hanno nemmeno provato a capire la profonda ferita e il dolore sempre vivo che rappresenta il lager, l'essere considerati appartenenti a una parte di quella umanità cui non veniva riconosciuto il diritto di vivere. La sua è una ferita che non può essere sanata da nessuno. Questo, chi la insulta non lo sa e non lo vuole nemmeno capire. La sua sola presenza, la sua voce, turba questi animi, come turba tutti noi perché è un monito. E oggi sappiamo che questo monito forse non è così ascoltato. Io ringrazio Liliana Segre anche per la sua pacatezza e per non essersi fermata di fronte alle minacce. Ha dato una testimonianza di grande rigore morale e coraggio.
Come è organizzato il libro?
E’ diviso in tre parti. La prima ripercorre i tratti ideologici, legislativi e amministrativi che, a partire dall'ascesa di Hitler, contraddistinguono il regime nazista: il “progetto Auschwitz” è un tassello del più ampio contesto del “nuovo ordine europeo” ideato dal Reich. La seconda “racconta” il campo: come è nato e si è evoluto, dalle origini ai successivi ampliamenti; come è stato scelto il sito con le sue caratteristiche geomorfologiche, approfondimento importante e innovativo questo perché risponde ai dubbi dei negazionisti che affermano che il sottosuolo del campo non avrebbe potuto ospitare fosse di cremazione all’aperto. Questa sezione spiega anche com’era organizzata la vita quotidiana, sia dei deportati che dei nazisti, con una ricostruzione minuziosa degli alloggi e dei luoghi di lavoro, dei metodi di sterminio, delle forme di oppressione e di resistenza. La terza approfondisce i percorsi della memoria emersi nel tempo, ovvero quelle forme di elaborazione dei contenuti scritti trasformati in musica, cinema, teatro, pensiero politico. In coda c’è un’appendice con una cronologia essenziale, un apparato topografico e un indice con nomi e cognomi, ruoli e gerarchie delle figure del campo. E’ un libro complesso, che però si può leggere per parti e per argomenti ed è alla portata di tutti.